Gianmarco Garofoli, che stamattina ha lasciato la Vuelta a causa di un virus intestinale che lo ha colpito nella notte, lo aveva detto: «Qui in Spagna la questione palestinese è molto sentita, specie al Nord». E così oggi una tappa che si stava annunciando interessante e anche emozionante, vista la durezza del percorso, è stata mozzata sul più bello.

Per la cronaca ha vinto Egan Bernal, ma certo annunciare così una sua vittoria dispiace. Dispiace perché in fuga c’era con lui Mikel Landa. Due scalatori di rango, entrambi con un conto aperto con il destino e le cadute. Viene dunque da pensare cosa sarebbe potuto essere senza l’interruzione.

Il forcing di Bernal mette tutti in fila. Alla fine resteranno solo il colombiano (che otterrà la sua 22ª vittoria da pro’) e lo spagnolo

Il forcing di Bernal mette tutti in fila. Alla fine resteranno solo il colombiano (che otterrà la sua 22ª vittoria da pro’) e lo spagnolo

La vittoria triste di Bernal

Mancavano circa 16 chilometri quando la direzione di corsa ha ufficializzato l’accorciamento della tappa. «A causa di una protesta che ha bloccato la corsa, il vincitore di tappa e i tempi della classifica generale saranno decisi a 8 chilometri dal traguardo», così informava La Vuelta sul proprio sito ufficiale.

Stop dunque al cartello dei -8, proprio laddove iniziava la scalata finale verso Castro de Hervillo. A circa 3 chilometri dall’arrivo i manifestanti avevano occupato la sede stradale: la corsa non sarebbe potuta passare.

Landa e Bernal restavano in due grazie alla foratura che aveva fermato il terzo fuggitivo, Clement Braz Afonso. I tre avevano fatto la differenza sull’Alto de Prado, una scalata durissima con punte al 18 per cento. Bernal mostrava grande gamba: quando tirava lui, il gruppetto si allungava e anche i colli degli altri fuggitivi. Landa era uno dei pochissimi a resistere, ma con fatica.

In volata, come previsto, non c’è stata storia. Landa non è mai stato uno sprinter e per di più, trovandosi davanti al momento del lancio in leggera discesa, ha finito per offrire il colpo di grazia al rivale in un arrivo che tanto sembrava quello di una corsa di cicloamatori di terzo ordine, tanto era improvvisato, senza transenne, senza tifo…

Vingegaard sereno dopo l’arrivo. Nella generale nulla di fatto a parte Pellizzari che sale al quinto posto. Mentre Almeida insegue sempre a 48″

Vingegaard sereno dopo l’arrivo. Nella generale nulla di fatto a parte Pellizzari che sale al quinto posto. Mentre Almeida insegue sempre a 48″

Vingegaard, un altro passetto

E poi c’è la battaglia per la classifica generale. Apparentemente nessun grande movimento, ma a guardare bene Jonas Vingegaard è parso brillante e disteso in volto come nei giorni migliori. Pedalava leggero anche in piedi sui pedali. Bene anche Joao Almeida, più agile del danese.

La UAE Emirates si è trovata scoperta dopo il forcing della Bahrain-Victorious, preoccupata per il rientro in classifica di Bernal, e ha richiamato Marc Soler che era davanti. Giusto una precauzione, più che l’idea di un attacco. L’unico vero brivido è stata la foratura di Vingegaard sull’Alto de Prado: immediato il cambio bici con quella di Ben Tulett, senza conseguenze.

A conti fatti, questa protesta ha fatto gioco al leader della Vuelta. E’ passata un’altra tappa e Vingegaard resta in maglia roja, evitando il pericolo dell’ultima scalata. Avrebbe potuto anche affondare il colpo lui, sia chiaro. Dopo il “traguardo” Jonas era sorridente, salutava le telecamere e festeggiava con i compagni.

L’assembramento lungo la salita finale. Già verso le 16,30 mentre salivano i mezzi quello della Israel-Premier Tech era stato bloccato (foto Marta Brea)

L’assembramento lungo la salita finale. Già verso le 16,30 mentre salivano i mezzi quello della Israel-Premier Tech era stato bloccato (foto Marta Brea)

La protesta inarrestabile

La notizia del giorno resta però la protesta palestinese. La percezione in Spagna sembra diversa dalla nostra, sia per impatto mediatico che per approccio politico e sociale a 360°. Lo aveva detto Garofoli, lo si vede dalle immagini trasmesse dalla Vuelta e dalle prese di posizione del premier Pedro Sanchez.

Il primo ministro spagnolo, giusto ieri, aveva rincarato la dose contro Israele e Benjamin Netanyahu. Aveva chiuso gli spazi aerei e navali per eventuali carichi di rifornimenti militari, dato supporto alla Global Simud Flotilla e preso posizione netta.

Ieri erano state fatte delle riunioni per la sicurezza in vista di queste tre tappe in Galizia, con l’obiettivo di blindare soprattutto la frazione 17, quella di domani con arrivo al Alto de El Morredero, secondo le fonti quella più a rischio. Era stata prevista una task force ulteriore di 147 agenti tra Guardia Civil, Unità di Mobilità e Polizia locale. I manifestanti, però, hanno anticipato.

Il direttore della Vuelta, Javier Guillen, ha ammesso di trovarsi davanti all’edizione più difficile dei suoi 16 anni di direzione. L’Israel-Premier Tech resta al centro della bufera. Fa da capro espiatorio, ma la sensazione (ripetiamo sensazione) è che la protesta sulle strade iberiche ci sarebbe lo stesso proprio perché c’è un’altra visone in merito alla guerra in Medio Oriente.

Guillen si trova in una posizione difficile. Non hai mai incentivato la Israel a lasciare, ma neanche si è espresso affinché restasse in gara. L’UCI da parte sua ha diramato un comunicato molto neutro: «La squadra ha il diritto di partecipare, non possiamo vietarlo». Di fatto tutto è in sospeso e questi sono i risultati.

Stefano Zanini (classe 1969) diesse della XDS in questa Vuelta

Stefano Zanini (classe 1969) diesse della XDS in questa Vuelta

Dalla Spagna, Zanini…

Abbiamo intercettato a caldo Stefano Zanini, direttore sportivo della XDS-Astana, per provare a capire quale atmosfera si vive sul campo.
«In effetti – ha detto Zazà – oggi c’erano tantissimi manifestanti lungo il percorso. Sembra quasi che la protesta cresca. Ci hanno avvertiti dello stop via radio mentre eravamo sulla quella salita durissima, l’Alto de Prado (quindi poco prima rispetto a noi, ndr) e lo abbiamo comunicato ai ragazzi».

Stefano, gli atleti hanno la sensazione di correre rischi?

Se bloccano la strada come oggi no, ma se succede come qualche giorno fa nella cronometro, o come quando quel tizio si è gettato addosso a Romo (oggi non partito per i traumi di quella caduta), allora sì: un po’ di timore credo lo abbiano.

I tuoi corridori ne parlano tra loro?

Abbiamo orari differenti, ma almeno negli ultimi due giorni non ne hanno discusso.

Avete mai condiviso l’hotel con la Israel-Premier Tech?

Sì, anche nel giorno di riposo e non ci sono mai state proteste. Tutto molto tranquillo.

Personalmente che sensazioni hai? E’ stata persino messa in discussione la tappa finale di Madrid… Cosa succederà?

La sensazione è che il problema c’è e non sarà facile. Parlavo con un giudice e mi diceva che anche tecnicamente riorganizzarsi ogni volta è complicato. Dover prendere i tempi a mano all’improvviso è come tornare a 40 anni fa. Quindi la mia sensazione è: “speriamo che vada bene”. Non so cos’altro dire. E’ una situazione insolita, in cui lo sport subisce la politica.

E’ così: questa è politica e il ciclismo si corre sulla strada. Storicamente è sempre stato così. Oggi parlare solo di sport è difficile, forse anche fuori luogo. Staremo a vedere quel che succederà e se davvero questa Vuelta ferita arriverà a Madrid. Qualcuno in Spagna inizia davvero a chiederselo, come è accaduto in un dibattito su Marca, il maggior quotidiano spagnolo, e anche in altre trasmissioni. Intanto domani c’è un altro arrivo in salita… forse.