Nel disequilibrio tra le due storie si rintraccia il difetto maggiore del film a causa di una scrittura ingombrante spesso con dialoghi e frasi di troppo. Brava comunque Tecla Insolia. VENEZIA82. GdA
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LA SCUOLA DI DOCUMENTARIO di SENTIERI SELVAGGI
Destini incrociati. Amata si apre citando l’inizio della poesia di Un racconto iniziato di Waslawa Szymborska: “alla nascita di un bimbo il mondo non è ai pronto”. Su queste parole, il film sviluppa due declinazioni diverse sul tema della maternità. Da una parte c’è Nunzia, una ragazza di 19 anni, studentessa fuori sede, che si trova ad affrontare una gravidanza non desiderata. Dall’altra invece Maddalena. Col suo compagno Luca, un affermato pianista, ha provato in tutti i modi ad avere un figlio. Stavolta sembra essere sul punto di riuscirci ma un ennesimo aborto infrange i suoi sogni.
L’inizio di tutte le cose. Amoruso pedina le due protagoniste anche nelle strade di una Roma notturna e lascia emergere una continua alternanza tra speranze e frustrazioni. Dopo l’ottimo Fuoristrada, vincitore nel 2013 alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Prospettive e lavori come Chiara Ferragni. Unposted, il cinema di Elisa Amoruso conserva ancora delle tracce documentarie evidenti per esempio, nel modo di inquadrare la periferia, o negli spostamenti nervosi di Nunzia (ottima Tecla Insolia) comprese le scene in discoteca in cui balla da sola. Quello della ragazza è una sorta di diario privato, ma anche un pensiero che si fa racconto. Più costruita e forzata invece la parte che riguarda la storia di Maddalena e Luca (Miriam Leone e Stefano Accorsi), a cominciare dalla scena iniziale del concerto, le sedute dalla psicologa (Donatella Finocchiaro) fino al modo in cui viene mostrata la crisi di coppia nel loro lussuoso appartamento.
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Alla base di Amata c’è una storia vera e prende spunto da un fatto realmente accaduto a Milano quando un neonato è stato lasciato in una culla assieme a una lettera della madre. Dopo l’esordio nella finzione di Maledetta primavera nel 2020, la cineasta porta sullo schermo un’altra storia al femminile in cui mostra il disorientamento della protagonista. Al centro della trama di Maledetta primavera, c’erano i turbamenti e i desideri di Nina, una ragazzina di tredici anni. In modo ancora più evidente di quel film, Amata viene spesso sovrastato da una scrittura che ne frena lo slancio e sottolinea, rende evidente, ciò che poteva essere solo accennato. Ci sono delle frasi di troppo come quella della padrona di casa di Nunzia o domande del tipo: “come si sente a non avere figli naturali?” che risultano stridenti non tanto per il contenuto ma proprio per il modo in cui vengono pronunciate. La scrittura di Ilaria Bernardini calca la mano e, contemporaneamente, la regia di Amoruso stavolta non sembra fidarsi delle sue immagini. Ha come bisogno di qualcosa che le dia sicurezza, anche nei momenti che potrebbero sembrare apparentemente più spontanei come la telefonata di Nunzia alla madre o quello in cui la ragazza ascolta Te lo leggo negli occhi di Battiato. Ci sono dei frammenti più autentici, legati proprio alla prova di Insolia, mentre in altri casi il film prende la forma di un melodramma costruito e innaturale come nella scena della visita al ginecologo dove Maddalena si è fatta umiliare. Si rintraccia soprattutto del disequilibrio delle due storie il difetto maggiore del film, oltre al tentativo di cercare la commozione e l’immedesimazione dello spettatore. Sono mezzi questi di cui lo sguardo della regista non ha bisogno e che finiscono per annacquare e spersonalizzare il film.
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