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Claudio Del Frate

Alla base di tutto c’è la sentenza del 2019 su dj Fabo. La domanda va presentata all’Asl, una commissione territoriale ne valuta la fondatezza. Ma i tempi sono incerti

La morte della giornalista Laura Santi, affetta da sclerosi multipla, che ha fatto ricorso al suicidio assistito, riporta in primo piano i passi non ancora compiuti dal legislatore in materia di fine vita e le norme a cui deve attenersi il malato che vuole porre termine alle sue sofferenze. Ancora oggi l’ter da seguire per ottenere il suicidio assistito resta complesso e irto di ostacoli. 

Alla base dell’intera questione c’è la sentenza della Corte Costituzionale numero 242 del 2019, meglio nota come sentenza dj Fabo che aveva fatto ricorso al suicidio assistito infrangendo la legge che fino ad allora considerava questa pratica un reato. La Consulta ha stabilito che la volontà del malato può essere assecondata quando ricorrono tre condizioni: una malattia irreversibile e fonte di gravi sofferenze; la dipendenza del paziente da sostegni vitali; la piena ed espressa volontà del malato a ricorrere al fine vita.



















































Il percorso che deve essere intrapreso a questo punto presenta varie fasi: «La persona malata, che vuole chiedere il suicidio medicalmente assistito in Italia, deve rivolgersi alla struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, affinché sia verificata la presenza dei requisiti stabiliti dalla sentenza» spiega l’associazione Luca Coscioni, protagonista da anni della battaglia per questo diritto. Tocca a una commissione appositamente nominata dall’azienda sanitaria verificare la fondatezza della domanda. Il paziente deve anche essere informato sulle possibili soluzioni alternative, come l’accesso alle cure palliative.

«Al completamento di questa procedura – spiega ancora l’associazione –  verrà stilata una relazione e il fascicolo sarà inviato al comitato etico territorialmente competente, soggetto terzo che garantisce la tutela dei diritti della persona malata. Il comitato etico dovrà quindi formulare un proprio parere, obbligatorio ma non vincolante per la Asl». Solo superato anche questo passaggio si può stabilire come e quando praticare il suicidio assistito. 

L’intero percorso può richiedere anche anni di tempo (a Laura Santi ne sono stati necessari tre) e anche per questo motivo c’è chi ha tentato di disciplinare e stabilire tempi certi: è il caso della Regione Toscana, prima a varare una legge in materia: al malato che ottiene il via libera dalla commissione viene garantito un tempo massimo di attesa di 37 giorni per mettere in pratica il fine vita. Il governo ha tuttavia impugnato la legge, ritenendo che la Regione sia andata oltre i suoi poteri.  

La Corte Costituzionale ha più volte sollecitato la politica perché intervenga con una legge definitiva sul fine vita. Un testo è approdato ora al Senato ma i suoi contenuti sono già oggetto di critiche perché ritenuto restrittivo rispetto a quanto stabilito dalla sentenza dj Fabo; il ddl, ad esempio, prevede di accentrare a una commissione etica nazionale l’esame delle domande di suicidio assistito, togliendo questa facoltà alle Asl. Ma soprattutto prevede che la prestazione non possa essere erogata dal servizio sanitario nazionale, con il rischio che il malato terminale debba pagare di tasca sua il ricovero in strutture private. 

Da notare che permane una differenza netta tra suicidio ed eutanasia: quest’ultimo – secondo la Federazione per le cure palliative è «l’uccisione di un soggetto consenziente in grado di esprimere la volontà di morire…con la richiesta al medico di essere soppresso». Una pratica che in Italia è proibita per legge, non così in altri Paesi. Per suicidio assistito si intende invece l’atto di porre fine alla propria esistenza in modo consapevole mediante l’auto somministrazione di dosi letali di un farmaco prescritto da un medico.

22 luglio 2025 ( modifica il 22 luglio 2025 | 13:08)