di
Virginia Piccolillo

Il ministro dell’Agricoltura: nessun imprenditore ha mai pensato di lasciare gli Usa

DALLA NOSTRA INVIATA
Dall’annuncio dell’accordo sui dazi è stato bombardato di telefonate dalla filiera dell’agroalimentare e del vino. Francesco Lollobrigida, ministro FdI dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, che dicono? È una débâcle o no? «Vediamo. Ho appena attaccato con un nostro produttore che era con un importatore di pomodoro americano. Mi diceva che hanno appena ricominciato a chiudere i contratti. Stanno facendo buoni affari perché finalmente la situazione si è stabilizzata».

Sì, ma al meglio o al peggio?
«Vediamo. Per un Paese esportatore come il nostro i dazi sono sempre un problema, ma da una prima analisi l’impatto per alcuni settori potrebbe non pare essere così drammatico. Per diverse ragioni».



















































Quali?
«Intanto alcuni prodotti nostri non sono replicabili negli Stati Uniti. Pensiamo all’olio di oliva, che importano per il 95%, o al pecorino, che lì non sanno fare».

E quindi?
«A prescindere dal prezzo, dovranno continuare a importare certi beni dai paesi in grado di produrli. Probabile che gran parte dei dazi non saranno pagati dai produttori italiani, ma verranno spalmati sull’intera filiera, che per la maggior parte dei prodotti, per valore, è negli Stati Uniti. E poi…»

E poi?
«Alcuni prodotti potrebbero mantenere inalterati i dazi precedenti all’aumento fatto da Trump nell’aprile scorso. Il parmigiano, ad esempio dal 15%, che paga dal 1964, era schizzato al 25%. Se i dazi fossero al 15% “flat” per i produttori di parmigiano sarebbe un risultato eccezionale, come mi dicevano oggi. Ma anche sul resto dei formaggi e sugli aceti il 15% sembra potenzialmente assorbibile senza influenzare in modo negativo il nostro export. Ovviamente non vi è alcuna certezza, stiamo lavorando con Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare, ndr) a proiezioni. Bisogna aspettare le tabelle e le eventuali esenzioni che possono risultare determinanti».

E per il vino, quali prospettive?
«Il vino è quello che preoccupa di più. Ma su questo sembra che ci sia ancora la possibilità di rivedere la trattativa. Più facile quella sugli spiriti prodotti anche dagli Usa che potrebbe finire con zero a zero. Ma vedremo alla luce dei prossimi giorni se ci sarà davvero una riduzione dell’export. Lunedì 4 a Chigi abbiamo convocato una riunione del sistema produttivo per affrontare la questione vino, non solo legata ai dazi ma anche a una strategia complessiva».

Non è un po’ troppo fiducioso?
«Non voglio essere ottimista a tutti i costi, ma nemmeno catastrofista come chi lo sta facendo in queste ore in modo del tutto strumentale».

A chi si riferisce?
«È paradossale che il Pd, che ha sostenuto dall’inizio Ursula von der Leyen, confermandole la fiducia, e dall’inizio ha detto che la trattativa la doveva fare l’Ue, adesso stigmatizzi l’accordo che lei ha concluso come il peggiore possibile».

Conte dice che Giorgia Meloni pur di compiacere Trump sacrifica il presente e il futuro degli italiani.
«Una lettura ridicola di una sinistra isterica che non sa cosa dire. La premier ha lavorato e sta lavorando perché l’Europa non continui a farsi del male da sola. Quello che conta per noi è solo il giudizio di imprenditori e cittadini».

Dall’opposizione pensano che la colpa sia dell’Italia che non ha voluto la linea dura dei contro-dazi suggerita dalla Francia. Sbagliano?
«Adesso siamo diventati il governo più influente di Europa e la Francia ininfluente sulle scelte? Ne prendiamo atto (ride, ndr). Noi lavoreremo per migliorare ulteriormente l’accordo. Ma nemmeno uno degli imprenditori di agroalimentare che ho sentito in queste ore ha mai pensato che dovessimo sostituire il mercato degli Usa o abbandonarlo. Sarebbe illogico. Perché, come ha detto la stessa von der Leyen, dobbiamo trattare con nazioni democratiche come le nostre. E rafforzare le economie per evitare che i nostri popoli ti dicano, come già successo, «se le autocrazie sono più solide allora rinunciamo alla libertà».

Qui ad Addis Abeba però c’è chi si chiede allora perché, con il piano Mattei, si appoggia un governo poco democratico?
«Il problema dell’Etiopia è la fame e l’autosufficienza alimentare. Noi cerchiamo di portare investimenti per garantire pace e prosperità. Non appoggiamo nessun governo ma crediamo nella autodeterminazione dei popoli e la rispettiamo. Qui come in tutto il mondo».

Cosa farete per i settori in difficoltà per i dazi?
«Tutto quello che si potrà immaginare insieme all’Europa. Ma aspettiamo di vedere la fine del negoziato. Meglio un bicchiere mezzo pieno che tutto vuoto». 

La newsletter Diario Politico

Se vuoi restare aggiornato sulle notizie di politica iscriviti alla newsletter “Diario Politico”. E’ dedicata agli abbonati al Corriere della Sera e arriva due volte alla settimana alle 12. Basta cliccare qui.

28 luglio 2025 ( modifica il 28 luglio 2025 | 21:12)