Firenze, 14 novembre 2025 – “Per quel che leggo dai giornali, sembra davvero che si sia trattato di un tranello. E, comunque, la sanzione appare sproporzionata. Non si possono controllare così i lavoratori”. A parlare è Silvia Ventura, avvocata giuslavorista e membro del consiglio direttivo dell’associazione Comma 2 – Lavoro è Dignità. Il caso è quello del licenziamento in tronco di Fabio Giomi, lavoratore sessantaduenne, punito con la massima sanzione disciplinare dal centro commerciale Pam di Porta Siena dopo una sorta di controllo interno basato sui metodi del ‘cliente invisibile’ e del ‘test del carrello’.

Silvia Ventura, avvocata giuslavorista e membro del consiglio direttivo dell’associazione “Comma2 – Lavoro è Dignità”
Un controllo a sorpresa, scattato due volte nel giro di pochi mesi proprio su di lui, seguito da un licenziamento. La vicenda non poteva che portare ad uno stato di agitazione, subito proclamato dalla Filcams Cgil di Siena.
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Avvocata Ventura, partiamo dal caso. Cosa ha pensato quando ha letto la ricostruzione dei fatti?
“Apprendo il caso dalla stampa e la prima impressione è che sia stato messo a punto un meccanismo mirato a cogliere in fallo il dipendente per poi arrivare al provvedimento disciplinare. Peraltro, anche se l’inadempimento fosse dimostrato, la sanzione inflitta – il licenziamento in tronco – appare sproporzionata rispetto a quanto contestato”.
Che lettura dà di questo episodio?
“Da come vengono descritti i fatti, sembra davvero un tranello. Nascondere volontariamente piccoli articoli tra prodotti voluminosi rende più probabile l’errore del cassiere. Ma un errore di questo tipo non giustifica la massima sanzione disciplinare”.

Un supermercato Pam
Si parla del “metodo del cliente invisibile”. È legittimo? Come funziona e quali sono i limiti?
“Partiamo dallo Statuto dei lavoratori: il controllo del corretto adempimento della prestazione lavorativa non può essere delegato a soggetti esterni e non identificati. Deve essere esercitato dal datore di lavoro o da collaboratori chiaramente riconoscibili come tali. Il tema rientra nella più ampia questione dell’utilizzo da parte del datore di lavoro degli investigatori privati. Non è una pratica vietata in assoluto, ma la giurisprudenza consolidata ci dice che possono essere utilizzati soltanto quando il datore di lavoro sospetti illeciti o comportamenti fraudolenti, fonti di danno per il datore di lavoro – ad esempio verifiche su un uso improprio dei permessi della 104 – non per verificare il corretto adempimento dell’obbligazione contrattuale e dunque per valutare la qualità del lavoro quotidiano. In casi come questo, la modalità sembra costruita apposta per mettere in difficoltà il dipendente”.
Il test sarebbe stato effettuato due volte in pochi mesi proprio sul delegato sindacale. Questo può configurare un comportamento antisindacale?
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“Sì, potrebbe configurarlo. Siamo davanti non solo a un possibile comportamento antisindacale, ma anche discriminatorio. Verrebbe da pensare che l’azienda avesse interesse a cogliere in fallo proprio quella persona, per varie ragioni. E la sproporzione della sanzione rafforza il sospetto”.
Questo tipo di test è diffuso? In quali ambiti lo ha visto utilizzare?
“Mi è capitato di recente di assistere un dipendente di una grande società della ristorazione che utilizzava metodi simili per individuare violazioni perlopiù legate a piccoli ammanchi. Il “cliente invisibile” sembra essere uno strumento sempre più utilizzato nelle grandi aziende, soprattutto nei settori a contatto con il pubblico. Ma è un terreno scivoloso: va usato solo per indagini legate a possibili illeciti, non per controllare l’ordinaria prestazione lavorativa”.
È compito del cassiere verificare che i clienti non rubino merce?
“No, credo che sia compito della sicurezza, che peraltro nei supermercati c’è sempre”.

Il Pam del centro commerciale Porta Siena
Il gruppo Pam, contattato dalla stampa, ha scelto di non commentare. Come valuta questa decisione?
“È una scelta legittima rispetto a quelle che potranno essere le strategie future. Prima di esprimersi pubblicamente, l’azienda potrebbe voler chiarire internamente la linea da tenere o valutare i rischi di una controversia”.
In vista dell’incontro tra azienda e sindacati, quale sarebbe la soluzione più ragionevole?
“Se fossi io a difendere la parte datoriale, ritirerei il provvedimento espulsivo per evitare che questa ‘impostazione’ si allarghi. Se invece il metodo fosse parte di una strategia volta a ridurre il personale, allora il quadro sarebbe diverso e, ovvio, più preoccupante”.
Avvocata, in conclusione: questo licenziamento è difendibile?
“A mio parere, molto poco. Nella migliore delle ipotesi si tratterebbe di una negligenza. Il licenziamento in tronco è sproporzionato. Il lavoratore, inoltre, può contare sulle tutele previste dall’articolo 18. Per come vengono raccontati i fatti, mi sentirei di rassicurarlo”.