di
Andrea Galli

Gli esordi nel dopoguerra con le canzoni dei banditi. Le osterie di periferia, i teatri, i primi successi. L’amicizia profonda con la poetessa Alda Merini e le pareti di casa tinte di verde: «Porta serenità». Quando si candidò alle elezioni

Così milanese, Ornella Vanoni, così incredibilmente milanese, da esser legata al mare in un rapporto forte, di gioia pura e di conseguenza tormenti, nei saliscendi che riguardano anche le dive e i divi. Il mare, giustappunto: «È un mio elemento, e quando non c’è mi manca. Davvero, il mare mi manca tanto». E allora, o aumentare il dispiacere, oppure, laddove possibile, andare e venire in giornata. Anche meno. Mezza giornata. Di fretta. Per salutarlo. E basta. Già tanto. Un privilegio. 

Così milanese da attraversare anche lei, all’inizio della strepitosa sua carriera, lunga, infinita, ricca, densa, pazzesca, quella stagione là, la stagione della mala che veniva dalla guerra e dalla Resistenza, dai bricchi e dalle imboscate dei partigiani contro l’invasore, che aveva faticato e pianto, sfiancata dalla fame e dalle prigionie nel carcere di San Vittore; che teneva ancora le armi imboscate in cantina e nelle cascine, e le faceva tornar buone per le rapine: la mala e testi come «Ma Mi», Sotta a ’sti mur passen i tramm, Frecass e vita del ma Milan… 



















































Andava per osterie a vederli e respirarli, le donne e gli uomini della mala; nelle osterie tornava a cantarli. Discuterci. Litigare pure. Ovvio.
Ornella Vanoni. L’Ornella. Morta venerdì 21 novembre, non lontano dalla mezzanotte, per un malore in casa. 
Aveva 91 anni, compiuti a settembre, il giorno 22, un lunedì. 
Chi l’aveva vista e sentita, in settimana, tutto un ripetere: «La sua solita energia. Parlava, rideva, pensava».  

A Milano era stata anche in ballo per le elezioni. Il 2011. Risultato: 36 voti presi per la lista «Milano al centro»; spiegò: «Ho voluto aiutare un
amico. Giovanni Terzi. Me l’ha chiesto. Non mi sono tirata indietro». Ma avesse vinto? «La gente vuole che si risolvano i problemi. I treni dei pendolari, a esempio. Pochi, sporchi, affollati». 

I collegi in Europa

Figlia d’un industriale, Ornella Vanoni crebbe negli agi. Anzi no. Le bombe distrussero le fabbriche del papà, e intanto la famiglia Vanoni sfollò a Varese. Poi in realtà ne piovvero pure sopra Varese, di bombe, e allora si correva nei campi, correre e correre e correre. Fra le colline. E sperem.
Un unico, scontato primo amore, e mai è seguito dibattito alcuno: Giorgio Strehler. S’incontrarono con lei giovanissima, reduce da un giro nei collegi un po’ dappertutto, la Svizzera come l’Inghilterra, senza che, con rispetto, lo studio la riempisse di desiderio, e più che altro propensa a lavorare subito. E lavorare come estetista. Poi con lui, Strehler, e al Piccolo, e buonanotte a tutti. Attrice, cantante. Allieva, compagna. 

Un certo fastidio maturato nel tempo, fastidio beninteso sofferto e però esplicato in piena sincerità, secondo abitudine, verso Milano, perlomeno questa Milano qui di adesso: «Punta tutto sui soldi», aveva raccontato sul Corriere ad Aldo Cazzullo, «tutto è sempre troppo caro, e poi beh», aveva aggiunto con quel suo modo di sintesi, di mischiare la cronaca e la storia, di divertirsi in fondo a incanalare le cose, ogni cosa, dentro la buffa, sgraziata e disgraziata commedia umana senza lesinare, anche a se stessa per carità, la presa in giro, beh, «Stendhal doveva essere strafatto quando disse che il paesaggio della Lombardia era il più bello del mondo… ’sto cielo grigio».

La poesia

Della morte, Ornella Vanoni ripeteva: il teatro Lirico l’hanno dedicato a Gaber, le due sedi del Piccolo a Strehler e a Grassi, la palazzina Liberty a Fo e Rame, lo Studio alla Melato; per me non è rimasto niente; per questo motivo rivolgo un appello al sindaco Beppe Sala: mi dedichi un’aiuola in centro.
In tanti, da subito, nonostante fosse iniziata la notte, si sono serviti dei social per un ultimo saluto, un ricordo personale chi lo possedeva.
Ornella Vanoni: una cerchia estesa di conoscenze, in Italia e ovunque, i trionfi, i successivi legami sentimentali, una lunga permanenza, come residenza, in largo Treves, in quell’appartamento non ridondante, nelle stanze le opere dell’adorato Fausto Melotti, alle pareti le tinte di verde, «il verde porta serenità», verde salvia, verde eucalipto, e gli ampi tendaggi alle finestre sperando che fuori ci fosse la brezza marina ad animarli.
Un ristretto elenco di amicizie profonde, intime. Come con Alda Merini. Che le dedicò una poesia, e scrisse così: «Il genio è un animale impaurito che scappa di casa in casa».


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22 novembre 2025 ( modifica il 22 novembre 2025 | 09:38)