Su Sportweek la storia da film di Rocco Vassallo, un pugile che non ha manager, allenatore, nutrizionista e nemmeno un posto fisso dove allenarsi ma è diventato campione Wbc del Caribe: “Faccio sparring coi migliori. In Italia non mi ha aiutato nessuno”
Giornalista
2 agosto 2025 (modifica alle 14:31) – MILANO
Rocco Vassallo è un po’ come quel cane di cui cantava De Gregori, quello che non sa dove andare ma comunque ci va. In un mondo di atleti in scatola, lui è artigianale come la focaccia buona. Fa il pugile professionista con un signor record (13 vittorie di cui 11 per ko e nessuna sconfitta) e la cintura in vita di campione Wbc dei Welter dei paesi caraibici, dove si mena senza sconti. Ci è arrivato da solo. Non ha un manager, non ha un allenatore, non ha un preparatore, non ha un nutrizionista, non ha nemmeno una palestra fissa. Ne cambia una al giorno, ovunque l’istinto lo porti. Picchia come una furia ma ha la parlata calma di un marinaio che guarda l’orizzonte. E la focaccia buona la sa fare davvero.
Sestri Levante, panificio Vassallo, dal 1930.
“Il panificio di papà, io ero il jolly: servivo i clienti, facevo i dolci, il pane. Sapevo fare tutto, pure tirare il pacco all’ultimo momento. Meno male che mi coprivano…”
Stefano Vassallo mica faceva solo il pane…
“Ma no, è stato pugile buono, più buono di me. Ha fatto una bella carriera a livello nazionale ma ha avuto sfiga, mi piace pensare che mi son preso la fortuna che non è andata a lui. Però fino a 60 anni si è allenato, eh, l’ho visto buttare giù da vecchio parecchi giovani…”
Un classico insomma. Papà pugile, figlio pugile.
“Mah, mi buttava lì in palestra, mi faceva vedere i colpi, lo guardavo allenarsi, ma potevo fare quello che volevo. E ti dico: se mi avesse messo sotto tipo ‘sti bambini che vedi su instagram, tutti concentrati e precisini, ora non c’avrei la voglia che ho adesso”
Però poi hai scelto comunque di fare il pugile.
“Eh, non si sa come mai. Dicevo a papà che volevo fare il pugile ma non era mica vero. Gli amici giocavano a calcio e io no, mi sarebbe piaciuto. Comunque ho iniziato con lui, poi a Genova, poi sono venuto a Milano da Cherchi e a Firenze da Bundu e di nuovo in Liguria ad Arenzano…”
E poi te ne sei andato dall’Italia. Che è successo?
“Dovevo debuttare da professionista in Liguria, nel 2021. Avevo un posto in fondo a una riunione, poi gira che ti rigira alla fine mi fanno fuori e non si sa come mai. Poi vedo il video e l’annunciatore dice: ‘Oggi finiamo presto, solo 6 match’. Capito? Fa male così, un male cane. Un ragazzo a inizio carriera lo devi aiutare, dargli occasioni. Ma è difficile, no? Più semplice dire che non c’è spazio”
Così Rocco va in America, a Miami.
“La molla è stato il mio amico Gabriele, surfista, di Levanto. ‘Vai, provaci, all’inizio ti do una mano’. Boh, ci vado. E all’improvviso mi ritrovo a fare i guanti con gente fortissima, così capisco che valgo molto di più di quello che mi avevano fatto credere in Italia”.
In un posto fisso non ci stai mai.
“Non ti so spiegare perché, a stare sempre nello stesso posto le onde del cervello me le sento più basse, ecco. E se non sono stimolato non vado forte. Oggi per esempio ho fatto un allenamento bellissimo con tre abbastanza scarsi, ma il fatto di essere in una situazione nuova mi motiva. Poi mi piacciono i metodi diversi, imparo un po’ da tutti. Lo so che senza un maestro fisso perdo un po’ di linearità, eh. Ma boh…”
“A volte mi chiamano per sparring e mi pagano, a volte mi sposto io perché ho tempo. Vado lì, mi presento e chiedo di fare i guanti coi migliori che ci sono. Mi sono allenato a Portorico, in Messico, ad Atlanta, a Raleigh, a Tampa, ovunque. Se penso che a Sestri mi allenavo col mio amico Marco Righetti, centravanti nel Celle ligure. Durante il covid gli ho insegnato a tenere i colpitori e abbiamo fatto round su round di botte…”
Quelli forti con cui ti alleni?
“Mi ricordo che sono arrivato a Miami alle 10 di sera e la mattina dopo ero a fare sparring con Mark De Luca. Poi mi sono allenato con Curmel Moton, il pupillo di Mayweather, con Francis Hogan, Luis Palomino, Chris Colbert… Mi presentano i loro maestri, mi creo degli agganci, e da chi mi da una mano poi ripasso. Lo sai che in palestra ho trovato pure la fidanzata?”
“Ma va, italianissima, mogli e buoi dei paesi tuoi. E poi l’inglese non lo so ancora tanto bene. Lo spagnolo sì, ho passato un po’ di mesi in Repubblica Dominicana, parlo proprio il loro slang”
Non hai una palestra, non hai un allenatore, non hai nemmeno un preparatore e un nutrizionista…
“Però sono alto 1.87 e faccio senza problemi 64 chili da solo. Si vede scemo non sono. Mi informo, studio…”
E come fai senza manager? Hai mai pensato che se ne avessi uno saresti esploso prima o meglio?
“Se Bob Arum mi chiede di andare con lui ci vado. O anche Joe Deguardia, abbiamo mangiato una pizza insieme e mi ha detto che sono forte e che se ha un buco in una riunione buona mi infila. Uno così sì, con un altro che faccio? Non mi serve uno che mi manda un contratto e ciao. Per me parlano i fatti, ho 13 vittorie, zero sconfitte e soldi con la boxe non ne ho persi. Al massimo li ho buttati (ride)” Vivi solo di boxe a Miami?
“No, lavoro in una palestra di fitness, Il capo è un ex pugile, pure lui quando capita mi aiuta. Gli dico: mi fai 5 round? E lui bum, 5 round. Capito? Mi alleno guadagnando”
Sei campione del Caribe, da straniero come ti trattano?
“Bene, mi considerano uno di loro. Solo una volta uno mi ha aperto un sopracciglio con una testata e poi ho vinto ai punti. Se l’avessi data io mi avrebbero squalificato a vita”.
“Una volta mi hanno chiamato per un match a Catania: 1.200 euro, non ci pagavo nemmeno l’aereo. In Italia non mi ha dato mai una mano nessuno. Che faccio, vengo a far fare i punti agli altri? Non esiste. Qui mi conoscono e mi rispettano tutti, nel mio Paese nessuno parla di me. Sui social della Federazione vedo i video di tutti i pugili ma di mio mai nulla, quello che vinco io non vale? Ma son contento così, mi vivo la mia vita, non voglio andarmi a cercare gli sgambetti degli altri”.
Com’è il livello della boxe italiana?
“Di pugili bravi ce ne sono, del mio peso anche migliori di me. Io però mi reputo intelligente, mi alleno sempre duro, sono costante e non mollo un c…. Perciò ho superato tanta gente che era più indietro di me. Sul ring mi basta prendere una scossa per fare uscire la rabbia”.
Sui tuoi social ci sono anche foto patinate. Hai fatto anche il modello?
“Ah, si, a Firenze… facevo il cameriere in un ristorante, un cliente chiese di me al capo che mi chiamò: era uno che reclutava i modelli per Pitti. Mi hanno fatto fare un giro in tondo e mi hanno dato 300 euro, un’esperienza. Non per vantarmi, eh, ma ero molto più bello io di tutti gli altri modelli lì. Mi aveva preso pure un’agenzia di moda, una delusione: anche lì come nella boxe se vuoi avere una cosa ne devi dare due… Ma per la boxe lo posso fare, mi posso sbattere, invece quella voglia lì per fare il modello non ce l’ho”
© RIPRODUZIONE RISERVATA