di
Anna Fregonara

Il regime alimentare è già indicato come modello potenzialmente protettivo per le malattie cronico-degenerative. Ora è stato avviato uno studio per verificarne gli effetti su chi ha una predisposizione genetica al cancro

Ogni anno in Italia fino a 4.800 nuovi casi di tumore della mammella sono legati a mutazioni ereditarie dei geni Brca1 e 2.
Per chi scopre di averle, la prevenzione primaria è di tipo chirurgico: asportazione di seno (consigliata in giovane età), ovaie e tube, con conseguenze importanti sul piano fisico ed emotivo.
Sempre più donne, chiedono, però, anche altri consigli che permettano di ridurre il rischio.

Prevenzione e stili di vita 

Una possibile risposta arriva dall’osservazione di chi ha queste mutazioni: nonostante il rischio di sviluppare un tumore sia molto alto – fino al 65 per cento per quello al seno e fino al 40 per cento per quello alle ovaie – non tutte si ammalano. Questo suggerisce che altri fattori possano influenzare il modo in cui si esprime il rischio genetico.
«Tra questi, da un lato stiamo studiando varianti genetiche minori (come i polimorfismi), dall’altro i fattori epigenetici, ossia legati allo stile di vita», spiega Patrizia Pasanisi, direttore della Struttura Dipartimentale Semplice di ricerca nutrizionale e metabolomica della Fondazione Irccs Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. 



















































Studi osservazionali prospettici e sperimentazioni cliniche indicano che la dieta mediterranea, ricca di cereali integrali, verdura, frutta, legumi, pesce, frutta secca e olio extravergine d’oliva, rappresenta un modello potenzialmente protettivo per la maggioranza delle malattie cronico-degenerative. «Tuttavia, gli studi che indagano l’effetto dello stile di vita in persone con predisposizione genetica al cancro sono ancora pochi», precisa la dottoressa. 

La sperimentazione su 502 donne 

«Nella nostra sperimentazione clinica di dieta mediterranea su 502 donne con mutazione Brca è emerso che chi ha seguito la dieta ha beneficiato di effetti positivi su vari biomarcatori legati al rischio oncologico. Tra questi, l’adiponectina, ormone con proprietà antinfiammatorie; l’Igf-1, fattore di crescita insulino-simile che, se elevato, può stimolare la proliferazione cellulare e quindi aumentare il rischio tumorale; i lipidi plasmatici, cioè i grassi nel sangue, che se alterati possono alimentare l’infiammazione; alcuni microRna oncosoppressori, molecole che regolano l’espressione dei geni e possono bloccare la crescita tumorale. Inoltre, dati preliminari suggeriscono che chi ha seguito la dieta ha avuto nel tempo anche meno nuovi eventi Brca-relati. Per approfondire questi meccanismi e andare oltre, è stato avviato un grande studio osservazionale prospettico via-web in cui stiamo reclutando donne con mutazione Brca». 

Per partecipare scrivere a: e-brave@istitutotumori.mi.it 

Iscriversi allo studio 

«L’obiettivo è capire quali abitudini alimentari e comportamenti siano realmente legati allo sviluppo dei tumori Brca-correlati. Saranno raccolti dati stile-vita e campioni di sangue per studiare l’interazione tra geni, ambiente e rischio oncologico. Indagheremo anche il ruolo del microbiota intestinale, l’insieme dei batteri che vivono nel nostro intestino. A seconda della dieta, questi microrganismi producono metaboliti che possono essere benefici o dannosi per la nostra salute. Gli acidi grassi a catena corta (Scfa), per esempio, hanno proprietà antinfiammatorie, mentre le lipopolisaccaridi (Lps), se in eccesso, possono contribuire a uno stato di infiammazione cronica».

Tutte le donne con mutazioni Brca possono scaricare gratuitamente la BRCApp, un’app che offre video-ricette, esercizi fisici guidati e indicazioni sullo stile di vita.

Altro fronte: il colon 

La Poliposi Adenomatosa Familiare è una malattia genetica rara che provoca la formazione di numerosi polipi soprattutto nel colon, spesso già in giovane età, con un alto rischio di cancro colorettale se non curata. «Il trattamento preventivo standard è l’asportazione completa del colon, con il collegamento dell’intestino tenue al retto», chiarisce Pasanisi. «Negli ultimi anni si è visto che l’infiammazione intestinale cronica e l’ambiente immunitario locale possono favorire la trasformazione dei polipi in tumori. La dieta mediterranea può ridurre l’infiammazione sia intestinale, sia sistemica. Abbiamo avviato uno studio clinico con 160 pazienti già operati, assegnati per 24 mesi a una dieta mediterranea a basso impatto infiammatorio o a una dieta libera per valutare se la dieta può ridurre il numero e la dimensione dei polipi del retto residuo. Un’app dedicata facilita il monitoraggio dei partecipanti».

8 dicembre 2025

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