Per decenni la terapia ormonale sostitutiva in menopausa (HRT, Hormone Replacement Therapy – in Italia chiamata anche TOS) è stata al centro di acceso dibattito: fa bene? Fa male? E soprattutto: a chi fa bene? Sulla questione è arrivato un segnale rilevante da parte della Food and Drug Administration (FDA) statunitense, che ha aggiornato in modo significativo l’etichettatura dei farmaci utilizzati per il trattamento dei sintomi della menopausa. Nel novembre 2025 una nuova analisi pubblicata su JAMA dagli esperti della ‘US Food and Drug Administration’ — Martin A. Makary, Christine P. Nguyen e Tracy Beth Høeg — ha portato alla più significativa revisione degli ultimi vent’anni sul tema. Lo studio, intitolato “Updated Labeling for Menopausal Hormone Therapy” (Etichettatura aggiornata per la terapia ormonale in menopausa) – pubblicato online il 10 novembre 2025 – ha spinto la FDA a ripensare completamente le etichette dei farmaci ormonali, aprendo una nuova era nella cura dei sintomi della menopausa. È un cambiamento che riguarda da vicino milioni di donne, spesso confuse da informazioni contrastanti.

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Gli studi pregressi

Come spiega il lavoro, che ripercorre il percorso di ricerca clinica sul tema, a metà del Novecento i medici notarono che le donne che andavano in menopausa precoce, spesso a causa di un’ovariectomia, mostravano un rischio più elevato di malattie cardiovascolari. Non a caso, già nel 1942 la FDA approvò la prima terapia estrogenica.

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Sono state mantenute queste linee guida fino al 2002, quando i primi risultati della grande ricerca Women’s Health Initiative (WHI) fecero crollare l’uso della terapia ormonale. I media parlarono di “aumento del rischio di tumore al seno”, e milioni di donne abbandonarono i farmaci da un giorno all’altro. Successivamente, si scoprì che quel rischio era legato principalmente a un tipo specifico di progesterone utilizzato nello studio — il medrossiprogesterone acetato — oggi non più utilizzato nella maggior parte delle terapie. 

Le nuove evidenze

Lo studio pubblicato su Jama chiarisce: “L’evidenza attuale suggerisce che la terapia ormonale, iniziata entro un decennio dall’esordio della perimenopausa, è associata a numerosi benefici a lungo termine, tra cui una riduzione dei sintomi vasomotori, senza influenzare in modo significativo le malattie cardiovascolari aterosclerotiche tra le donne più giovani in postmenopausa di età compresa tra 50 e 59 anni.

La terapia ormonale è stata inoltre associata a una riduzione del 25%-50% degli eventi cardiovascolari fatali, a una riduzione del 50%-60% delle fratture ossee, a una riduzione del 64% del declino cognitivo e a una riduzione del 35% del rischio di malattia di Alzheimer. Inoltre, nessuno studio clinico ha mai riscontrato un aumento della mortalità per tumore al seno associata alla terapia ormonale”.  

La FDA interviene: via le vecchie avvertenze

Nel luglio 2025 un panel di esperti indipendenti e migliaia di testimonianze pubbliche hanno portato la FDA a riconsiderare l’etichettatura dei farmaci per la menopausa. Addio alle grandi avvertenze nere (tipo “attenzione grave rischio di…”) per: terapie combinate estrogeno-progestiniche; terapie a base di soli estrogeni; prodotti contenenti estrogeni; prodotti a base di soli progestinici.

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Uno studio rivela: la menopausa si può prevedere

Resta solo il ‘boxed warning’ (l’avviso sulla scatola del farmaco) relativo all’uso di estrogeni senza progestinico nelle donne con utero, perché può aumentare il rischio di tumore endometriale — “ma è un rischio interamente prevenibile con l’aggiunta di un progestinico”, chiariscono i ricercatori. Stop anche alla raccomandazione “minima dose per il minor tempo possibile”. Ora la FDA riconosce che la terapia va personalizzata, non standardizzata. Viene, inoltre, riconosciuto che l’estrogeno vaginale locale (per secchezza, dolore, infezioni ricorrenti) non ha gli stessi rischi sistemici delle terapie ormonali assunte per bocca o tramite cerotti. Per la prima volta, le etichette dei farmaci includeranno indicazioni sulla finestra ottimale per iniziare la terapia: “prima dei 60 anni o entro 10 anni dall’inizio della menopausa”.

Perché la revisione è importante

Gli autori dell’articolo sottolineano come la vecchia etichettatura abbia influenzato negativamente la salute delle donne per più di due decenni. Secondo le loro analisi, la paura generata dalle avvertenze ha impedito a circa 50 milioni di donne di accedere a trattamenti che avrebbero potuto migliorare significativamente qualità e durata della vita. Questa revisione non è solo un cambiamento burocratico: è un invito a rivedere pregiudizi e paure. La terapia ormonale non è una soluzione per tutte, ma – stando alle attuali evidenze – risulta più sicura di quanto si sia creduto negli ultimi vent’anni. Chiunque stia vivendo la transizione menopausale ed avverte sintomi che limitano il benessere, deve essere a conoscenza delle varie opportunità di cura, parlandone con un medico competente.

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