di
Silvia Calvi e Matteo Pessina
Il dossier del Corriere tra le bancarelle dal centro alla periferia: in viale Papiniano la caccia agli abiti, anche vintage; in via Fauché i prodotti gourmet; all’Isola gli affari tra i banchi esotici; in via Osoppo «il ribaltone» del weekend
A Milano quella dei mercati rionali è un’istituzione che ha origini medievali, quando Milano era piccola ma – per l’epoca- già molto popolosa, e i suoi 200.000 abitanti compravano latte, frutta, verdura, uova e polli dai contadini che arrivavano con loro carretti dalle cascine fuori le mura. Una tradizione cresciuta nel tempo e organizzata soprattutto tra 800 e 900, quando nascono anche i mercati all’ingrosso come quello di frutta e verdura in corso XXII Marzo, il mercato di polli e uova in via Lombroso, e poi la carne nei pressi del macello di viale Molise e, nel 1935, il mercato del pesce in via Sammartini, ai quali si aggiungono i mercati coperti voluti negli anni Trenta del Novecento dal podestà Marcello Visconti di Modrone.
Una storia che continua ancora oggi, con 93 mercati rionali -dalla A di quello di via Agilulfo (zona 5) alla Z del mercato di via Zuretti (zona 2), molti a cadenza bisettimanale, per un totale di quasi 10.000 bancarelle tra alimentari, abbigliamento e articoli per la casa che ogni settimana, da lunedì a sabato, sono a disposizione dei milanesi (solo due i mercati domenicali: Pagano, in zona 7, e Vittorini, in zona 4). Ogni quartiere ha il suo mercato, ciascuno con identità, prodotti (e prezzi) diversi, con venditori italiani accanto a quelli provenienti da Africa, India, Asia, Sudamerica (come internazionale è diventata sempre più la clientela), che propongono prodotti come daikon, coriandolo, okra, pak choi, eddos o edamame, vicino alle tipiche bancarelle di una volta con le acciughe, la frutta secca, il baccalà, le mostarde e i sottaceti.
Ma conviene ancora fare la spesa al mercato? Sì, ma dipende dalla bancarella e, spesso, anche dal mercato. Per scoprirlo ne abbiamo passati in rassegna quattro: Isola, Fauchè, Osoppo e Papiniano.

Viale Papiniano
Il mercato di viale Papiniano rientra ancora nel Municipio 1, ma si trova ai suoi margini, a Sud-ovest. Raggiungerlo è comunque facile, basta scendere a Sant’Agostino sulla linea verde della metropolitana. Per i lavoratori impegnati il martedì mattina, c’è la seconda chance di sabato, per altro più fornita e prolungata di due ore, fino alle 16. Le bancarelle sono prese d’assalto specialmente per l’abbigliamento. Storicamente, questo mercato è la meta prediletta per chi cerca giacche e scarpe in pelle, vestiti da tutti i giorni ma alla moda, e lascia soddisfatti i clienti affascinati dal vintage. Non a caso l’edizione del sabato è seconda per numero di banchi «non alimentari» soltanto a quella di piazzale Ferdinando Martini (zona 4), che tuttavia — circondando interamente il parco comunale Francesco Rucci — gode di molto più spazio. Quanto ai prodotti da cucinare e mettere in tavola, l’offerta è varia (pur carente del pesce) ed è concentrata in piazza Sant’Agostino. Patate, carote e zucchine sotto la soglia psicologica di un euro al kg: quel centesimo in meno che, scendendo a patti con l’illusione, fa tirare un sospiro di sollievo a chi deve o vuol spendere poco. Gli stessi che dovranno poi accettare di non trovare le mele sotto 1,30 euro al chilo o le arance sotto 1,39 euro al chilo. La provenienza non sempre è indicata, la vendita è stata appaltata agli stranieri, soprattutto dal Nord-Africa. Poca la concorrenza sulla carne, è comunque conveniente il petto di pollo a 12,90 euro al chilo.
Via Fauché e Isola
C’è la sciura con il filo di perle che cerca un maglioncino di cashmere, le ragazze che frugano tra gli abiti usati e la famigliola che fa scorta di pannolini e detersivi. Ma, in generale, al mercato i milanesi vanno soprattutto per comprare prodotti alimentari, con l’obiettivo di risparmiare qualcosa ma anche di trovare alcune specialità a prezzi più contenuti che in negozio: dai marroni di Cuneo (9 euro al chilo) alle mele cotogne (5 euro/kg), dai porcini (da 30 a 50 euro/kg, qui la forbice è molto ampia, dipende dalla provenienza dei funghi) fino al tartufo bianco di Alba (100 euro per 20 grammi) e nero di Norcia (quasi la metà). Più popolare il mercato dell’Isola, un po’ più chic e con prodotti gourmet quello di via Fauchè il più amato dalle milanesi anche per l’abbigliamento e la pelletteria, entrambi si tengono negli stessi giorni, il martedì (al mattino) e il sabato (fino alle 17). E offrono scenari diversi: più venditori di origine italiana in via Fauchè, più fruttivendoli maghrebini e bengalesi all’Isola, che in un intreccio di accenti e cadenze propongono anche articoli esotici e hanno un tocco scenografico per esporli, dalla piramide di mandarini alle «pareti di verdura». I prezzi? Dipende dalle bancarelle, quindi bisogna prendersi il tempo di girare e confrontare, ma il risparmio rispetto al supermercato c’è. Con due altri vantaggi: comprare prodotti di stagione e fare quattro chiacchiere con gli altri clienti mentre il venditore, con un gran sorriso, implacabile ti accoglie con uno squillante: «Ciao cara, cosa ti serve cara?».
Via Osoppo
C’è l’imbarazzo della scelta, se si vuole comprare frutta e verdura al mercato di via Osoppo. Perlomeno di sabato, quando girando tra le bancarelle ci si può perdere tra le cassette piene di colori e sapori. L’area mercatale del Municipio 7 (la fermata del metrò più vicina è quella di Gambara, linea rossa) è bisettimanale, ma se al giovedì la bilancia dei prodotti è a favore dell’abbigliamento e degli articoli per la casa, all’appuntamento del fine settimana la situazione si ribalta e i banchi alimentari sono ben 109. Una cifra record rispetto a tutti gli oltre 90 mercati scoperti milanesi. E con un’offerta così ampia si può fare a gara per scovare l’ortaggio più economico: carote e patate si riescono a trovare a 80 centesimi al chilo. Non sono nostrane, ma le noci arrivate con furore dall’Argentina a ritmo di tango, come dice scherzosamente il loro venditore, costano appena 4 euro al chilo: un affare di questi tempi. Anche le arance, di bell’aspetto, si trovano a buon prezzo: 90 cent.
Sui banchi da generazioni
A promettere ai clienti di fare l’acquisto migliore sono soprattutto stranieri, dal Maghreb. Resistono ancora delle bancarelle col tricolore. Come quella di Luigi Fiorella, 63 anni, che coltiva e vende i prodotti della terra da una vita, sulle orme del padre e del nonno prima di lui. Per distinguersi dai dirimpettai punta sulla qualità. Una bancarella all’insegna del metodo biodinamico in agricoltura, una «lotta integrata» senza l’uso di fitofarmaci. La numerosa famiglia (i nonni avevano avuto 13 figli), prima della Seconda guerra mondiale, si era trasferita da Barletta alle campagne milanesi, dalle parti della chiesa rossa, lungo il Naviglio pavese. Tutti impegnati nei campi — tranne uno di loro diventato dottore — la sussistenza veniva garantita con la pratica del baratto. Solo in seguito commerciando. Il signor Fiorella in passato ha avuto un fruttivendolo a Corsico, per oltre vent’anni, per questo oggi è uno di rari casi di ambulante associato al Club Imprese storiche di Confcommercio. Con la morte del padre, ha lasciato anche l’attività all’ingrosso all’ortomercato, troppo impegnativa, e i terreni si sono ridotti da 20 a sette ettari. Li coltiva tra Bologna e Ferrara, ma la vendita resta solo a Milano, dal mercoledì al sabato. Quello che espone non è tutto frutto dell’attività agricola famigliare. Con i colleghi conosciuti all’ortomercato, ha costruito una rete di una ventina di produttori-venditori «biodinamici». Perché rimanere ancora qui? «È una scelta fatta col cuore — risponde l’ambulante —. Noi viviamo in Emilia, e venire a Milano è un sacrificio, ma non puoi tradire chi ti ha dato sempre da mangiare. Non possiamo abbandonare i nostri clienti. L’ortofrutticolo è un comparto in perdita, ma finché resistiamo, andiamo avanti, spero di riuscirci fino alla pensione».
Vai a tutte le notizie di Milano
Iscriviti alla newsletter di Corriere Milano
14 dicembre 2025 ( modifica il 14 dicembre 2025 | 08:09)
© RIPRODUZIONE RISERVATA