di Chiara Amati
«Mi sento orfana per la seconda volta», scrive Carolina Rosi sul proprio profilo Instagram dopo la morte di Italo Manca, storico patron del ristorante «La Libera» di via Palermo a Milano
«In pochissimi giorni, dopo Gian Maurizio, oggi mi ha lasciata anche Italo. Mi sento orfana per la seconda volta, due pezzi indimenticabili della mia vita, che mi hanno accompagnato per più di trent’anni nelle mie giornate e nottate milanesi, un’intera generazione a cui far riferimento non c’è più… Una creatività, una genialità che purtroppo viene a mancare… sono disperata, ti porterò sempre nel mio cuore».
Una manciata di parole quelle che Carolina Rosi, attrice, regista e produttrice teatrale italiana, ha affidato il 24 dicembre scorso ai suoi social per dire addio a due persone a lei carissime.
Nel giro di poco tempo il dolore si è fatto doppio. Prima Gian Maurizio (lo scenografo Fercioni, tra i fondatori del Teatro Franco Parenti, ndr), poi Italo Manca, 84 anni, patron de «La Libera», un classico della ristorazione milanese che aveva aperto nel 1981 e ceduto a febbraio di quest’anno alla famiglia Comito, già titolare del ristorante «Solferino». Due nomi riportati con rispetto e disperazione, poche righe scritte come si fa quando le parole cercano uno spazio comune in cui essere accolte. Carolina Rosi ammette di sentirsi «orfana per la seconda volta», facendo intendere una perdita che lascia senza fiato. Non ci sono dettagli, né cronache: di certo Gian Maurizio e Italo restano figure decisive nella sua vita affettiva, strappate via a breve distanza l’una dall’altra. Il tono è quello di chi racconta per sopravvivere. Un dolore che non cerca consenso, ma condivisione silenziosa.
Carolina Rosi, chi è
Classe 1965, sessant’anni proprio oggi, 26 dicembre, Carolina Rosi è una delle figure più solide e discrete della scena culturale italiana. Attrice, regista, produttrice, custode di una tradizione teatrale e cinematografica che attraversa più generazioni, Rosi ha costruito il proprio percorso con rigore, lontano dai riflettori facili, scegliendo il lavoro come forma di identità.
Figlia del regista Francesco Rosi, maestro del cinema civile italiano, e di Giancarla Mandelli, Carolina cresce in un ambiente in cui arte, politica e cultura sono pane quotidiano. Prima di approdare alla recitazione, lavora a Milano nel mondo della moda, accanto alla zia Mariuccia Mandelli, fondatrice del marchio Krizia. Ma è il teatro a chiamarla con più forza: si diploma all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica «Silvio D’Amico» nel 1988 e da lì inizia una carriera che si muove con naturalezza tra cinema, televisione e palcoscenico.
Al cinema recita, tra gli altri, in «Cronaca di una morte annunciata» e «Dimenticare Palermo», mentre in teatro affina un metodo fatto di studio, disciplina e ascolto. L’incontro decisivo è quello con Luca De Filippo, figlio di Eduardo: un sodalizio umano e artistico durato oltre vent’anni, culminato nel matrimonio nel 2013. Insieme portano avanti una visione del teatro come servizio culturale, attento al repertorio, ma capace di dialogare con il presente. Alla scomparsa di Luca De Filippo, nel 2015, Carolina Rosi assume un ruolo centrale nella tutela e nella continuità di quella eredità. Diventa presidente onoraria della Fondazione Eduardo De Filippo e guida la compagnia Elledieffe, impegnandosi nella produzione teatrale e nella formazione, con l’obiettivo di mantenere vivo un patrimonio che non sia solo memoria, ma pratica viva.
Parallelamente, torna a confrontarsi con la figura del padre attraverso il cinema. Nel 2019 firma «Citizen Rosi», documentario presentato alla Mostra del Cinema di Venezia: un ritratto intimo e politico insieme che restituisce la complessità di Francesco Rosi e del suo sguardo sul mondo.
Carolina Rosi oggi rappresenta una rara combinazione di continuità e autonomia. Custode di due grandi tradizioni — quella dei Rosi e dei De Filippo — lavora perché il teatro e il cinema restino luoghi di pensiero, prima ancora che di spettacolo. In un panorama spesso dominato dalla velocità, il suo percorso ricorda che la cultura è, prima di tutto, una questione di tempo, responsabilità e fedeltà ai dettagli.
Carolina Rosi e l’amore per la Toscana
Ma Carolina Rosi è anche altro: è ritorno alla terra, quella della Toscana, Maremma per l’esattezza. Accanto all’arte, negli ultimi anni, ha avviato un’attività agricola, il podere Scovaventi, dedicandosi alla produzione di olio extravergine d’oliva biologico e di altri prodotti del territorio. Un lavoro paziente, concreto, lontano dai riflettori, che parla di radicamento e cura. Coltivare, in questo caso, sembra essere anche un modo per resistere.
Il podere Scovaventi nasce come rifugio. Un luogo appartato, pensato per sottrarsi al rumore del tempo presente. È Luca De Filippo, insieme a Carolina Rosi, a sceglierlo come spazio di ritiro e rigenerazione, una casa dove tornare nelle pause tra una tournée teatrale e l’altra. L’amore per la campagna e una sensibilità gastronomica coltivata nel tempo li spingono, poco alla volta, a restaurare la colonica, a prendersi cura dei terreni, a trasformare i frutti dell’orto in conserve domestiche. In principio soprattutto pomodori, con cultivar legate alle loro origini: varietà campane, in particolare della penisola sorrentina.
L’olio extravergine d’oliva, una ragione di vita
Ma è l’olio d’oliva a diventare il centro del progetto. Una passione che nel 2015 li stimola ad ampliare la proprietà, acquisendo uliveti nei dintorni, in territori affini, ma caratterizzati da diverse varietà autoctone. L’obiettivo non è più soltanto l’autoconsumo, ma una produzione capace di affacciarsi all’esterno. Nello stesso anno, però, Luca De Filippo muore. Carolina Rosi sceglie allora di proseguire da sola quel percorso condiviso, trasformando Scovaventi da rifugio privato in azienda agricola. Un passaggio naturale che conserva l’impronta originaria del luogo: un’oasi di quiete, fondata sul rispetto del tempo, della terra e delle persone.
L’ulivo, simbolo forza e rinascita
Olio, si diceva. Olio extravergine d’oliva e ulivo che portano con sé un significato che va oltre l’agricoltura e l’alimentazione. L’ulivo è una pianta lenta, tenace, capace di vivere secoli e di rigenerarsi anche dopo le ferite più profonde. Non ha fretta, ma resiste. Affonda le radici nella terra e guarda il tempo con pazienza, insegnando che la forza non sempre è slancio, spesso è durata. L’olio che ne nasce è il frutto di questa perseveranza: luce raccolta, materia essenziale, gesto quotidiano. Trasforma il lavoro in nutrimento, la fatica in cura. È un alimento, ma anche un simbolo di continuità, di pace, di passaggio tra le generazioni. In ogni goccia c’è l’idea che ciò che viene coltivato con attenzione e rispetto possa attraversare le stagioni della vita, rimanendo saldo, vivo, necessario. Come Carolina e la sua arte.
26 dicembre 2025
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