di
Andrea Nicastro
Bambini e genitori ormai mangiano una volta al giorno. In Giordania ci sono magazzini stracolmi di alimenti che non vengono consegnati agli abitanti della Striscia perché Israele lo impedisce
DAL NOSTRO INVIATO
GERUSALEMME – I palestinesi hanno finito le scorte, consumato i soldi per comprare quel che c’è ancora sul mercato nero. Prima hanno ridotto le dosi nei piatti, poi hanno rinunciato a uno, a due pasti e infine si sono ridotti a mangiare una volta al giorno. Riso o lenticchie. Niente di più. Sono dimagriti i palestinesi. Il colore della pelle è cambiato, è diventato terreo. Ora è il tempo di quello che il segretario generale dell’Onu António Guterres chiama l’«horror show», lo spettacolo dell’orrore. Da una settimana molti genitori stanno rinunciando a quel poco che hanno per darlo ai figli. Ma niente sazia. Come dall’Etiopia in tempi di siccità, dal Burkina Faso in carestia, da Gaza escono foto di bambini con la testa grossa sulle spalle rinsecchite, gli occhi persi in orbite che sembrano crateri e tutte le costole a vista. Morti di fame.
«Non è accettabile far entrare a Gaza aiuti umanitari con il contagocce», hanno scritto 28 Paesi Occidentali. Eccole le gocce: 18 camion al giorno quando ne servirebbero almeno 500 per sfamare i due milioni di palestinesi imprigionati nella Striscia. L’orrore di cui parla il segretario generale dell’Onu è che in Giordania ci sono magazzini stracolmi di alimenti che non vengono consegnati agli abitanti della Striscia perché Israele lo impedisce.
Il cardinale Pizzaballa, un uomo che poteva diventare Papa, è stato due giorni a Gaza dopo il bombardamento dell’unica parrocchia cristiana rimasta. Tornato a Gerusalemme ha raccontato di avere «il cuore in subbuglio» per quello a cui ha assistito. «La fame è visibile», ha detto in conferenza stampa. «Nel modo in cui le persone camminano, stanche, ingobbite. Vedi la fame perché dimenticano le cose, si devono sedere mentre ti parlano, si assopiscono ogni momento senza forze. Lo vedi nel modo in cui i bambini chiedono da mangiare, rassegnati, senza davvero credere che riceveranno qualcosa».
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Ieri gli ospedali di Gaza hanno fatto i conti: i morti per mancanza di cibo nelle 24 ore precedenti sono stati 15. Un’impennata senza precedenti. La somma della vergogna è arrivata a 101. Tra le nuove vittime 11 adulti e solo 4 bambini. Significa che la carestia fabbricata dalla mano dell’uomo (secondo una esplicita definizione di Medici senza Frontiere) sta falcidiando anche altre fasce di età.
Solo lunedì il totale era fermo a 86, ma appena sei erano adulti. Orrore è che per cercare cibo si viene uccisi. Oltre mille da fine maggio dice Philippe Lazzarini, il direttore dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa). Gente morta mentre era in coda ai centri di distribuzione della famigerata Ghf, Gaza Humanitarian Foundation. Ammazzati da spari o bombe israeliane, ma anche dalla calca o dall’insolazione mentre aspettavano i pacchi alimentari. Non è strano. Non è un incidente.
Prima Lazzarini con l’Unrwa gestiva oltre 400 centri di distribuzione. Ora la Ghf ne apre a singhiozzo quattro. I palestinesi hanno fame e si spingono per accaparrarsi un pacco. Poi siccome dentro c’è farina, lenticchie, olio di semi, biscotti, tonno in scatola, è troppo pesante, il cartone cede e bisogna fermarsi a raccogliere.
La fila si interrompe, la gente dietro spinge, qualcuno afferra una scatola, si litiga. I soldati israeliani o i mercenari americani di guardia «si sentono minacciati» e sparano. Lo spazio in cui ai palestinesi è permesso vivere è appena un quinto di quel che era prima, ma i centri della Fondazione sono comunque pochi. I palestinesi fanno chilometri per andarci e se ce la fanno a prendere qualcosa, per tornare. Lungo la strada altri affamati chiedono una parte del pacco. Non c’è più legge a Gaza. In questo senso Israele ha vinto, ha eliminato l’ordine imposto da Hamas, ma il risultato è questo orrore. «Riescono a procurarsi dei pacchi solo i più forti — spiega Mara Bernasconi, appena rientrata da Gaza —. Donne e anziani sono di fatto esclusi dalla distribuzione della Ghf».
Bernasconi lavora per l’ong francese che vinse il Nobel per la lotta contro le mine, Humanity & Inclusion-Handicap International: «Noi lavoriamo da sempre moltissimo con i disabili. L’80 per cento non ha più nè stampelle nè carrozzina, come può lottare nelle file per i pacchi? Si stanno semplicemente spegnendo». Iba è una tecnica palestinese delle protesi che ha lavorato molto con l’ong francese. Sposata, 34 anni, al telefono parla con un filo di voce: «Abbiamo ancora delle lenticchie che però diamo alle bimbe. Hanno due e sei anni, cosa facciamo? Le lasciamo morire? Ogni volta che esco di casa non so se le troverò ancora vive. Possono essere uccise da un bombardamento oppure posso essere io a crollare per la fame. Per il momento io e mio marito resistiamo con un cucchiaino di sale e uno di zucchero. Sono giorni che andiamo avanti così. Ormai ho paura di svenire quando cammino per più di dieci metri». Diego Regosa in questi giorni è a Deir al Balah, l’«area umanitaria» finita sotto attacco israeliano lunedì. Lavora per l’ong Cesvi. Non ha dubbi. «La popolazione è totalmente allo stremo, non riusciamo neppure a trovare l’acqua» perché Israele blocca anche l’ingresso del carburante e i desalinizzatori si fermano. «Conosco Sharaq da anni — spiega Bernasconi —, 90 chili almeno, è il nostro “area manager”. Ora pesa meno di 60 e i capelli si sono improvvisamente imbiancati. L’ho visto via Zoom. Non l’ho riconosciuto». Horror show.
23 luglio 2025 ( modifica il 23 luglio 2025 | 09:01)
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