di
Silvia M.C. Senette

Mattia Maestri ha 12 anni, dal 2017 è in stato vegetativo dopo aver mangiato un formaggio contaminato da Escherichia coli: «Volevo bloccare le cure ma i carabinieri mi hanno minacciato il ritiro della patria potestà»

«Durante l’anno a Padova volevo interrompere le cure a mio figlio. Mia moglie era contraria, sono intervenuti i carabinieri e hanno minacciato di ritirarmi la patria potestà. Oggi, con il senno di poi, penso di aver sbagliato a non essere più fermo: non abbiamo fatto altro che prolungare l’agonia del mio Mattia». Nonostante il dolore che non lo abbandona da otto anni, il padre di Mattia Maestri, Giovanni Battista, non perde la forza di raccontare la battaglia di suo figlio, oggi 12enne, che da giugno 2017 vive in stato vegetativo. Mattia, allora di soli quattro anni, ha mangiato un formaggio a latte crudo del Caseificio Sociale di Coredo, in Trentino, contaminato da Escherichia coli: un’infezione che lo ha ridotto in fin di vita, scatenando una battaglia legale e una personale che non si è mai fermata. La sentenza della Corte di Cassazione ha confermato le condanne a carico dell’ex presidente e del casaro del caseificio sociale, ma per la famiglia Maestri la vera lotta è contro la disinformazione. Un impegno rinnovato dopo l’ultimo caso di venerdì, con il bambino bellunese di un anno ricoverato in condizioni gravi a Padova a causa della Sindrome emolitico-uremica, la stessa che ha colpito Mattia. Il dibattito della comunità scientifica vede schierato anche il virologo Roberto Burioni: «Il latte crudo è pericoloso, punto e basta – aveva dichiarato a maggio al Corriere del Trentino -. Consumarlo è un’imprudenza sempre, ma farlo bere ai bambini è un rischio gravissimo». In questo contesto di allarme, Giovanni Battista Maestri torna a parlare.

Come sta suo figlio Mattia?
«Il solito, peggiora di settimana in settimana. D’altronde la sua non è vita: prende 47 farmaci al giorno, ha 40 crisi epilettiche, non ci vede, non ci riconosce; respira e basta. La speranza è morta a giugno 2017, quando è entrato in coma. Bisogna essere realisti: i miracoli non esistono».



















































Ha letto dell’ultimo episodio?
«Ho letto. Il primo pensiero è stato: andiamo avanti con la strage. Sono sempre i formaggi. Può anche accadere consumando carne cruda – casi rarissimi – o insalata non lavata concimata con letame. Ci fu un’epidemia grossa in Germania, nel 2011, da germogli concimati con letame e contaminati da escherichia coli: ci furono 50 morti e più di 4.000 ricoveri. Spero che ai genitori del bimbo bellunese vada meglio che a noi».

È il terzo caso in nove mesi, gli altri bambini sono guariti.
«Sono felice per quelli che sono tornati a una vita normale e non voglio fare la Cassandra, ma temo che non siano davvero in perfetta salute. Possono stare bene al momento ma nell’anno passato a Padova, in reparto con il mio Mattia, mi hanno spiegato che l’infezione da escherichia coli è una legnata pazzesca ai reni e può essere che a 20, 30 o 40 anni quei bambini finiscano in dialisi o trapianti».

Cosa direbbe a quei genitori oggi in pena per le sorti del figlio di un anno?
«Non saprei proprio cosa dire, a essere sincero. Ognuno reagisce come reagisce ed è giusto così, non mi permetto di dare consigli. Io ho reagito in questa maniera, qualcuno dirà che è stata quella sbagliata ma ho fatto l’unica cosa che mi ha permesso di andare avanti. Ho trovato degli obiettivi: l’ultimo è arrivare a un’etichettatura trasparente per salvare la vita ad altri bambini. I genitori di Mattarello, invece, hanno preferito il silenzio. Lo capisco: ognuno fa come si sente. Magari cambieranno idea e lotteranno con me».

Lei ha mai cambiato rotta, in questi anni?
«Più di una volta, anche su questioni cruciali. Ero credente e contro l’eutanasia, mia moglie Ivana, invece, era credente ma favorevole alla “dolce morte”. Oggi, dopo quello che è successo, io sono diventato totalmente ateo e favorevole all’eutanasia, mentre a mia moglie è rimasta la fede ma adesso è contraria. Abbiamo cambiato completamente opinione, entrambi, uno in un senso e uno nell’altro».

È un tema su cui vi confrontate in famiglia?
«Ne parliamo; ne abbiamo discusso allora e ne discutiamo ancora. Io, durante l’anno a Padova, a un certo punto volevo bloccare le cure di Mattia; mia moglie era contraria, voleva proseguire. Io ho insistito. Sono intervenuti i carabinieri e mi hanno minacciato il ritiro della patria potestà. Oggi, con il senno di poi, penso di aver sbagliato a non tenere ferma la mia linea. Abbiamo continuato le cure e non abbiamo fatto altro che prolungare l’agonia del mio Mattia. E non è stata l’unica volta in cui eravamo in disaccordo per le cure».

Vuole raccontarci un altro momento critico?
«Abbiamo dovuto decidere se fargli la tracheotomia in caso di crisi respiratoria. Io ero favorevole e mia moglie Ivana contraria: lì intervenne la commissione medica che ha stabilito di non fargli un buco in gola. In effetti non ne avrebbe avuto bisogno: respira. Ma in caso avesse una crisi, la delibera della commissione ha stabilito che la tracheotomia non si fa».

Trova giusto che sia una commissione tecnica a decidere?
«Sì, perché Mattia è figlio di entrambi. La mia opinione e quella di mia moglie valgono uguale, al 50%. E in caso di disaccordo è corretto che un esterno decida. Ci sono altri casi in cui non sono favorevole».

Ad esempio?
«Trovo completamente sbagliato il “no” al suicidio assistito, come casi recenti di persone pienamente consapevoli che si sono dovute recare in Svizzera. Se si tratta di un minore e i genitori sono favorevoli o contrari, ma in accordo tra loro, va fatto quello che decidono; se invece io sono maggiorenne e lucido, su di me decido io. Eppure ero contrario all’eutanasia. Invece adesso la penso così».

Cosa le ha fatto cambiare idea?
«Vedere quello che ha patito e sta soffrendo il mio Mattia ha stravolto tutto. A Padova stavano per levarmi la patria potestà perché volevo interrompere le terapie a mio figlio, mentre mia moglie voleva proseguire, però se fossimo stati entrambi d’accordo per terminare le cure non ce lo avrebbero permesso. I medici hanno dato ragione a mia moglie per continuare le cure; ma se mia moglie, come me, avesse voluto interromperle non avremmo potuto. Su questo non sono d’accordo: la commissione medica non deve intervenire quando mamma e papà hanno la stessa opinione, ma solo se sono in disaccordo. In generale deve poter decidere il malato o, se minore, i genitori».

Lei però, a distanza di anni, ha cambiato idea. Non potrebbe essere che una commissione tecnica sia obiettiva, mentre genitori coinvolti emotivamente e annientati dal dolore potrebbero essere poco lucidi?
«Può essere così. Non escludo che subentri questa dinamica. Solo un genitore che passa dall’inferno può capire cosa si prova e, preso dal dolore, può darsi che non abbia un’idea chiara di quello che è giusto fare e che poi, negli anni, cambi idea. Non ci avevo mai pensato. Con il senno di poi anch’io, prima che succedesse quello che è successo, non la pensavo come oggi e probabilmente più di una volta avrei preso la decisione sbagliata. Capita che, finché non la viviamo sulla nostra pelle non riusciamo a vedere punti di vista a cui prima non si pensava».

A che punto sono le sue battaglie?
«Se ne è aggiunta una. Alberto Grandi, professore dell’Università di Parma, scrive sui falsi miti del latte: ho fatto fare una perizia sulla pubblicità occulta al latte crudo e il tentativo di volerlo far passare come una tradizione salubre e genuina. La utilizzerò nei prossimi mesi nei processi contro Concast e l’azienda turistica della Val di Non. Io ho fatto denuncia, ma non so a che punto siamo».

C’è mai stato un momento “alto” in questi anni?
«Quando supportati dalla professoressa Silvia Bonardi dell’Università di Parma, come perito di parte, siamo riusciti a dimostrare, per la prima volta in Italia, il nesso causale tra l’assunzione di formaggio a latte crudo e il risvolto clinico».

E la causa con l’azienda turistica a che punto è?
«Mi hanno rinviato a giudizio, attendo la data dell’udienza. Un membro dell’azienda turistica mi ha querelato per diffamazione e minaccia. L’accusa iniziale di stalking è stata giustamente derubricata, ma di rispondere di diffamazione e minaccia sono orgogliosissimo, non vedo l’ora. Se avessi smesso di lottare e avessi chiesto scusa, avrebbero ritirato la denuncia. Ma io non faccio un passo indietro. Chi ha ucciso il mio bambino viene premiato col premio di eccellenza e io devo star zitto? Neanche per sogno».


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23 agosto 2025 ( modifica il 23 agosto 2025 | 17:54)