di
Roberto Saviano
La sfida a Maduro, la scelta della democrazia anche quando l’insurrezione sembra l’unica strada. María Corina Machado non è affatto populista, agisce con coraggio, progressivo ragionamento e analisi
Si aveva la sensazione che l’Accademia del Nobel fosse ormai un’istituzione stanca. Il riconoscimento a Barack Obama come «premio preventivo» fu una sorta di omaggio più che l’attestazione di una strategia di pace realizzata. I Nobel dati a scrittori considerati nel dibattito (spesso ingiustamente) irrilevanti sembravano aver fatto smarrire il sogno di Alfred Nobel, l’inventore della dinamite che con i soldi ricavati dalla distruzione finanziò il premio che porta il suo nome. Ebbene oggi, il Nobel per la pace consegnato a María Corina Machado non accende semplicemente una luce sul Venezuela, ma pone, con drammatico imperativo, la necessità di difendere la pratica democratica.
Premiare Machado è una decisione di coraggio nei confronti di una donna che ha scelto ostinatamente la pratica elettorale — l’osservazione, la misurazione e la valutazione delle libere elezioni — è questo il suo impegno principale. Motivo per cui oggi è costretta a vivere nascosta, letteralmente, nel suo Paese. Non condivido la visione politica liberal-conservatrice di Machado ma ammiro il suo ostinato impegno a difesa della possibilità di votare. Il narcoregime di Maduro che fonda la sua ricchezza personale sul petrolio e sulla cocaina ha un proprio impianto ideologico tipico dei regimi populisti socialisti: sostenere che aiutano il popolo, che la miseria è frutto della persecuzione yankee, che il popolo attraverso di loro stia comandando. In realtà la miseria è ovunque hanno letteralmente saccheggiato il Paese, usato le prebende date alle famiglie misere delle favela per avere eserciti di miliziani, impediscono la libera stampa, le trasmissioni televisive, perseguitano chiunque denunci l’operato del regime.
Machado contro tutto questo ha opposto una pratica democratica, non la lotta armata anche se in questo momento la propaganda di regime insinua che sia «una voce della Cia» e che invece stia preparando un golpe. Si è mai visto che chi vuole preparare un golpe costruisca una struttura organizzativa volta a monitorare le elezioni? E anche quando le vince invece di opporre un’insurrezione persiste nel percorso democratico? Con Súmate (Unisciti), la sua associazione, ostinatamente sceglie la strada della democrazia per abbattere Maduro, il cui regime si regge su milizie, su cartelli, sul consenso estorto e comprato, sulla corruzione, su una propaganda che non lascia spazio al contrasto. Machado ha costruito associazioni intorno a un unico obiettivo: sconfiggere Maduro con le elezioni, permettendo le denunce al regime.
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Nelle ultime elezioni, l’anno scorso, l’opposizione democratica del Venezuela ha scelto, con elezioni primarie, il candidato contro Maduro. Lo hanno fatto sapendo già che le elezioni sarebbero state violente e manipolate. Migliaia e migliaia di persone votarono e scelsero María Corina Machado come candidata. Il regime la accusò di ogni reato per impedirle di candidarsi: cospirazione, tradimento, frode fiscale, qualsiasi cosa. Le impedirono di concorrere. Al suo posto proposero la filosofa Corina Yoris, ma Maduro bloccò anche lei. Cosa fare? Insorgere? Rinunciare alle elezioni? Continuarono e ottennero la candidatura di un vecchio diplomatico in pensione, Edmundo González Urrutia. Machado accettò e scelse di andare avanti, di dare una chance alla democrazia, rendendola e possibile, anche se perseguitata ingiustamente, anche se il regime populista stava commettendo crimini. Organizzò un milione di volontari per garantire la regolarità delle elezioni del 28 luglio, realizzò un’app per far condividere i verbali dei seggi e ottenne così le prove che González aveva vinto le elezioni con due terzi dei voti. Maduro invalidò la vittoria e costrinse all’esilio Gonzalez, ma Machado considerò il risultato una vittoria vera perché aveva cambiato antropologicamente i venezuelani. Li aveva resi consapevoli che la strada è lunga ma è quella democratica.
Anne Appelbaum sostiene che il Venezuela, in questo momento, è il luogo di maggiore ottimismo democratico del mondo, mentre altrove la democrazia è vista come un imbroglio, un apparato di potere volto all’arricchimento individuale senza alcuna possibilità davvero di mutare le ingiustizie, di costruire nuove forme di convivenza pubblica e ricchezza sociale. In Europa e in Usa la democrazia è una illusione, non in chi sta combattendo in Venezuela. Nell’intervista a The Atlantic Machado dice: «Il 28 luglio — le elezioni vinte e poi annullate da Maduro — non è stato solo un evento ma un processo che ha unito il Paese. Anche se quelle elezioni sono state falsificate, il movimento che ha innescato la vittoria reale ha cambiato il Venezuela: Maduro non può più imporre la sua versione dei fatti”.
Machado è considerata da molti in queste ore filotrumpiana: non è così, tutti i leader liberali sotto regimi socialisti si legano a chiunque sia disposto a offrire sostegno. La linea anti Maduro di Trump la condivide, ritiene le sanzioni contro il Venezuela fondamentali per indebolire il cartello di Maduro. Le opposizioni venezuelane sono isolate, hanno bisogno del sostegno degli Usa ma è pura strategia, infatti non accolgono il piano americano, almeno finora non l’hanno fatto, e questo Nobel serve proprio a rafforzare l’opposizione venezuelana e non renderla in continuità con la gestione Trump. Ma non bisogna cadere nel tranello diplomatico: questo Nobel rafforza la linea di Machado e indebolisce quella di Trump, che vorrebbe un’azione militare contro il regime per imporre emanazioni del mondo petrolifero e non le assemblee venezuelane. Machado, invece, si ostina a tenere fuori militari, ribelli, generali e dissidenti, e vuole vincere con le assemblee. L’obiettivo di Trump non è portare la democrazia in Venezuela, ma sfruttare la corruzione del governo venezuelano per impadronirsi del petrolio, come si è fatto con Saddam Hussein: sfruttare i crimini del dittatore per controllarne le risorse.
Il Nobel a Machado va nella direzione opposta: premiare e illuminare chi pratica una strategia diversa. Maduro è spaventato da Machado proprio per questo: è una leader che costruisce monitoraggio, osservazione, partecipazione, non armi; non occupa università, non spinge al sabotaggio delle fabbriche, non arma l’opposizione. Paga un prezzo personale con l’esilio in patria, i suoi familiari sono tutti all’estero per essere protetti. In Venezuela, il cambiamento antropologico di cui parla Machado è proprio questo: persone che vogliono partecipare al cambiamento votando e che credono che l’essere numerosi possa proteggerli. Machado ha denunciato, per esempio, una pratica mafiosa di Maduro: segnare con una X le case dei sostenitori di González per invitarne la persecuzione, rendendo loro la vita impossibile. Dopo le elezioni, sono stati arrestati leader locali, oppositori e persino i loro figli: 2.000 persone incarcerate.
Eppure Machado mostra ottimismo: nei seggi elettorali, l’ordine di Maduro era di colpire qualsiasi oppositore, ma molti militari non lo hanno eseguito, permettendo il conteggio dei voti alla presenza degli osservatori dell’opposizione. Il potere di Maduro si sta sgretolando. Perfino i quartieri tradizionalmente filochavisti, che in passato ricevevano benefici economici, ora mandano un segnale forte: non vogliono più Maduro, non vogliono più il Narco-Venezuela. Prima di Chávez governi corrotti si sono avvicendati a Caracas ma non avevano mai raggiunto i livelli di miseria e corruzione realizzati dai militari bolivariani.
A Machado viene talvolta rivolta l’accusa di essere populista, ma, come lei stessa dice in un’intervista a The Atlantic, «non ho nulla da offrirvi se non lavoro, non ho altro da offrirvi se non la possibilità di unirci per rimettere in piedi questo Paese». È il contrario del populismo, che promette denaro, rendite, patria grande e ricchezza per tutti. Questo Nobel ribadisce che la democrazia è lavoro quotidiano, difesa, lotta alle ideologie totalitario.
Il narcotraffico che ormai comanda in Venezuela ha avuto la sua prova finale nella storia dei narcosobrinos (i narco nipoti), i nipoti di Nicolás Maduro, Efraim Flores e Francisco Flores, scoperti mentre gestivano un traffico di 800 chili di cocaina con aerei di Stato venezuelani, che facevano atterrare ad Haiti. Furono arrestati e condannati dai tribunali americani a 18 anni. Maduro rispose arrestando cittadini americani che lavoravano nelle società petrolifere, costringendo gli Stati Uniti a liberarli in cambio dei narcosobrinos. Le carceri venezuelane sono le più terribili del mondo, si pratica una delle torture più singolari: giorni senza cibo e poi d’improvviso si viene rimpinzati fino al vomito, a quel punto si viene e costretti nei giorni successivi a rimangiare il proprio vomito. Tutto il sistema penitenziario è appaltato ai narcotrafficanti: esiste una parola che definisce proprio il boss narco che comanda in carcere, il «pran». «Pran» significa «Preso Rematado Asesino Nato» cioè detenuto condannato assassino nato ed è la strategia che Chávez e poi Maduro hanno da sempre utilizzato per controllare le carceri affidarle ai «Pran» e permettere poi a loro di comandare anche fuori direttamente dalla prigione. Per conoscere queste dinamiche rimando al libro di Alfredo Meza (purtroppo mai tradotto in italiano) Ciudadano Wilmito: La historia del primer pran de Venezuela.
A Machado è stato vietato l’esilio per controllarla. Vive nascosta, perché chiunque abbia a che fare con lei — ristoranti, negozi, meccanici — subisce multe o chiusure: cercano la sua morte civile. Non la uccidono né la arrestano solo perché l’attenzione internazionale è altissima, e un gesto del genere peggiorerebbe la posizione di Maduro. Alberto Trentini è stato arrestato (come svelato dall’inchiesta di Domani), per ottenere in cambio Rafael Martínez, ex dirigente di una delle maggiori aziende statali venezuelane, ora grande oppositore del regime. Martínez era stato accusato in Italia di peculato e riciclaggio e il Venezuela voleva la sua estradizione, ma è stato assolto, la Procura ha archiviato tutto, quindi Maduro non avrà il suo prigioniero preferito. Martínez conosce tutti i segreti della PDVSA, la più grande azienda pubblica del petrolio venezuelano: tangenti, ruberie, clientele, tutto. Lui in libertà significa che Maduro ha qualcuno in grado di provare come sia davvero stata gestita la Petroleus de Venezuela, tutt’altro che a servizio del «popolo». Quando l’Italia ha rifiutato l’estradizione, il regime venezuelano ha arrestato un cittadino italiano appena entrato nel Paese. Esattamente come agisce un cartello mafioso.
Il Nobel a María Corina Machado serve a proteggere il suo lavoro e a ricordare che la democrazia non è fatta di slogan, rivoluzioni o colpi di mano, ma di progressivo ragionamento, convincimento costante, monitoraggio, coraggio, analisi e contraddizione. Questo Nobel anche se non si condividono le idee politiche di Machado né il suo programma conservatore, anzi soprattutto per questo, è un’ottima notizia perché è porre fiducia nella possibilità democratica come strumento contro i regimi.
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11 ottobre 2025 ( modifica il 12 ottobre 2025 | 09:19)
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