‘Lontananze’ è un libro in cui le vicende personali di tre donne inciampano nelle grandi fratture collettive. A partire da Ester, ebrea sefardita che vive nella Bologna degli anni Settanta, passando per l’amore travolgente di Elvira, vissuto nel 1968 a Istanbul, per finire con Martina e la sua relazione con un uomo geloso e violento. Nel suo nuovo libro di racconti, Alessandro Castellari, studioso di letteratura, saggista e docente di Lettere, esplora il confine sottile tra memoria e immaginazione, tra il privato e il collettivo. ‘Lontananze’, edito da Minerva, verrà presentato domani alle 18 alla libreria Coop Ambasciatori.
Castellari, che cos’è la lontananza? “È lo spazio vuoto che si riempie di senso, che si trasforma in ricordo e immaginazione. È la lontananza a stimolare il desiderio e la passione, non la vicinanza”.
La tecnologia ha cambiato il concetto di ‘lontananza’ rispetto al passato? “Ben venga la tecnologia se usata nel modo corretto. Il rischio è di perdere il gusto e il senso dell’attesa. L’amore, la conoscenza, la fantasia hanno bisogno di lentezza. La rapidità di comunicazione ha tolto il piacere del desiderio. Non ci si seduce più, ci si telefona subito. Eppure il desiderio vive di silenzi e di distanze, di quella lontananza che non può essere colmata in un istante”.
È stato difficile mettersi nei panni delle tre protagoniste? “Ho dovuto dosare molto l’essere uomo. Parlare di donne è non è semplice, ma la mia fortuna è sempre stata saperle ascoltare. Da bambino mi nascondevo sotto il tavolo mentre le signore preparavano i tortellini. Lì sotto, ascoltavo e immaginavo”.
A proposito dell’immaginare, con Stefano Benni inventò la “Pluriversità dell’immaginazione”… “Lo conobbi nel 1994, mi propose di tenere un seminario sulla facoltà immaginativa. Lo facemmo al circolo dell’Atc di via San Felice. Da lì ci venne l’idea di creare la Pluriversità, prima al teatro Testoni, poi al cinema Settebello e alla sala Sirenella”.
Il suo autore di riferimento? “Gustave Flaubert è un autore che tutti i giovani dovrebbero conoscere e imparare a studiare. Io e mia moglie abbiamo ripreso ‘Madame Bovary’, adattandolo alla scuola, costruendo esercizi che potessero far capire non solo la trama, ma il ritmo della frase, la musicalità, l’ossessione per la parola giusta. Flaubert insegna che la scrittura è ascolto, anche del silenzio tra le parole”.