di
Vera Martinella

Una neoplasia difficile da curare, che interessa fegato e vie biliari, scoperta tardi nella maggioranza dei pazienti. Ora, però, ci sono nuove terapie mirate

«Praticamente una mattina qualunque, quando ti suona la sveglia per andare al lavoro, ti accorgi che hai dei piccoli dolori allo stomaco, pensi che passeranno e invece purtroppo la situazione è aumentata: ho avuto una colica addominale. Sono andata in ospedale, ma ci ho messo quasi un anno a capire di cosa soffrire. Quando finalmente mi hanno chiamato e avevano la risposta di cosa poteva essere questa massa… Ricordo ancora le loro facce, perché dagli sguardi, dai loro occhi, capivo che c’era qualcosa che non andava bene. Mi hanno detto: “Mirella, guarda, purtroppo hai un colangiocarcinoma” e io ho risposto: “Ma che cacchio è un colangiocarcinoma“?».

Era il 2013 quando Mirella Ferri ha ricevuto la sua diagnosi: quella di un tumore raro e difficile da trattare che interessa fegato e vie biliari. 
Ogni anno circa 5mila italiani scoprono di avere questa neoplasia, molto aggressiva, che cresce rapidamente: così ben il 70% dei pazienti arriva alla diagnosi tardi



















































Da allora sono passati 12 anni,  il tumore è tornato più volte e più volte Mirella è stata operata, ha fatto cicli di chemioterapia e poi ha iniziato altri farmaci innovativi, arrivati solo negli ultimi anni. Come racconta nel nuovo episodio del podcast «Prima, durante, dopo. Prevenire, affrontare, superare il cancro», una serie del Corriere della Sera in collaborazione con Aiom, l’Associazione italiana di oncologia medica

«Il colangiocarcinoma nella maggior parte dei pazienti viene diagnosticato in fase avanzata perché non dà segni di sé all’inizio nelle fasi precoci – spiega Lorenza Rimassa, a capo dell’Oncologia Epatobiliopancreatica all’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano –. Nasce dai dotti biliari, all’interno o all’esterno del fegato, o dalla colecisti e i primi sintomi sono “vaghi” (perdita di peso, dolore addominale, stanchezza, nausea), possono essere facilmente sottovalutati o confusi con altre patologie meno importanti. In alcuni casi compare ittero, c’è un colore giallo dell’acuto e degli occhi e questo ovviamente porta a una diagnosi più precoce».

A causa della scoperta già in stadio avanzato o metastatico, solo un paziente su quattro è candidabile alla chirurgia che è l’unico trattamento che può portare alla guarigione. 

«Io avevo 45 anni, mai fumato, mai bevuto, ho sempre fatto una vita abbastanza buona, la notizia è stata un colpo durissimo – racconta Mirella, che vive in provincia di Arezzo e ha un’enoteca -. Mio marito è sbiancato quando il mio medico ha spiegato che purtroppo era uno dei tumori peggiori con cui aver a che fare. Poi però ha aggiunto: “Voglio trovare un centro che possa provare a fare l’intervento”».

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Così Mirella viene operata al Sant’Orsola di Bologna il 30 gennaio del 2014 e poi inizia la chemioterapia, ma il colangiocarcinoma ha un alto rischio di recidiva e già sei mesi dopo l’operazione compare la prima metastasi polmonare (operata), nel 2016 ne insorge un’altra (anche questa operata). «Siamo sempre andati avanti con la chemioterapia e purtroppo nel 2016 è ritornato ancora, fino a levare purtroppo metà polmone. Dal 2014 al 2018, quando ho fatto chirurgia al surrene perché il tumore era andato anche lì, è stato molto impegnativo. Poi ho avuto una tossicità da chemio e sono dovuta andare all’ospedale e ho sospeso la terapia… ma all’improvviso ho avuto quattro anni di fermo: praticamente ero fuori da malattia, mi sembrava un sogno e ho detto “forse s’è stufato di darmi noia“». Invece nel 2022 serve ancora la chirurgia: bisogna asportare anche tube e ovaie, sempre a causa delle metastasi. Ma nel frattempo sono arrivati nuovi farmaci, Mirella segue altre cure e l’ultima Tac era negativa: la neoplasia per ora è ferma.

«Oggi abbiamo diverse opzioni terapeutiche – dice Rimassa -. La prima linea di trattamento, quindi la prima terapia che andiamo a somministrare, è una combinazione di chemio e immunoterapia che ha dimostrato di migliorare l’efficacia della sola chemioterapia, mantenendo una buona tollerabilità e una buona qualità di vita. Poi è importante fare una profilazione molecolare della neoplasia perché abbiamo a disposizione dei farmaci a bersaglio molecolare che possiamo utilizzare come seconda linea di terapia. 
In pratica è fondamentale che i pazienti facciano un test che verifica se sono presenti o meno determinate mutazioni genetiche nel loro tumore e in base al risultato si stabilisce la terapia più indicata, caso per caso:  «In pratica il materiale istologico prelevato con la biopsia viene analizzato con tecniche sofisticate (per questo servono alcune settimane per avere gli esiti) in grado di dire se c’è una mutazione o altra alterazione del Dna e quale – chiarisce l’eoncologa -. Possono essere presenti fino a circa il 40% dei pazienti e il risultato può essere utile per scegliere la terapia. È un passo decisivo».

In questi anni la ricerca scientifica sul colangiocarcinoma sta crescendo sia per individuare i meccanismi di insorgenza del tumore, sia per capire i modi in cui la neoplasia resiste ai farmaci. Per ora non esistono esami di screening e il colangiocarcinoma non si può prevenire, «ma si può far conoscere sempre di più questa patologia – conclude Mirella, che è socia fondatrice delll’Associazione Pazienti Italiani Colangiocarcinoma (APIC), nata nel 2019 per offrire un punto di riferimento ai malati, con aggiornamenti continui su terapie e centri specializzati -. Vogliamo cercare di aiutare chi comunque sta combattendo questa neoplasia, perché essere da solo in una malattia così tremenda è molto difficile. Quando incontri altre persone che hanno la stessa patologia, le stesse paure, gli stessi problemi, ti aiuta comunque. A non chiuderti in te stesso, a farti coraggio». 

23 ottobre 2025 ( modifica il 23 ottobre 2025 | 16:10)

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