di
Enea Conti
L’ex pugile e campione del mondo protagonista nella sua Rimini per la proiezione del docufilm che ne racconta vita: «A 65 anni avrei ancora voglia di combattere»
A luci spente è il titolo del documentario di Mattia Epifani dedicato all’ex pugile Loris Stecca, la cui produzione è stata sostenuta da Emilia-Romagna Film Commission, Mic – Direzione Generale Cinema e Audiovisivo e Apulia Film Commission, in collaborazione con Sky Documentaries e il patrocinio della Federazione Pugilistica Italiana.
Dopo essere stato presentato al Biografilm festival di Bologna la scorsa estate, il docufilm su Loris Stecca la sera del 23 ottobre arriva nel cinema più iconico di Rimini, il Fulgor, nel cuore della città in cui è ambientato e girato.
Nato a Santarcangelo di Romagna e cresciuto a Rimini, Stecca oggi ha 65 anni: ex pugile, campione del mondo pesi supergallo e tanto altro. Nel 2013 finì in carcere per tentato omicidio, quello della ex socia della palestra che gestiva. Nel 2017 fu premiato con la semilibertà per buona condotta, dal 2022 è un uomo libero dopo l’estinzione della pena. «La verità – dice – è che la rabbia è il mio avversario più tosto. Oggi tornerei a combattere».
Loris Stecca, la sua vita in un docufilm. Come la vede «a luci spente»?
«Vedo il racconto di una vita dalle stelle alle stalle, per dirla breve, forse con un po’ di ironia. Ricordo che l’intenzione della produzione era quella di includere anche mio fratello Maurizio. Poi scelsero di concentrarsi su di me. “La vita e la carriera di tuo fratello sono lineari, seguono una traiettoria precisa, la tua no”. E lo so bene. Dal tetto del mondo, alla caduta libera, fino al carcere. Oggi, a 65 anni, lavoro a Riccione con una cooperativa di Rimini. Una cooperativa sociale. Faccio il netturbino».
Però le luci si accesero senza filtri quando l’imprenditore Denny Montesi decise di sfidarla qualche mese fa. Poi come andò?
«Non andò. Non se ne è fatto nulla. E non se ne farà nulla».
Allora torniamo sul tetto del mondo. Nel 1985 vinse il mondiale a Milano. La scalata giocoforza cominciò prima. Quando?
«Il primo incontro lo disputai il 4 aprile del 1977 a Forlì. Avevo iniziato ad allenarmi pochi mesi prima. Sono sempre stato uno scalmanato. Giocavo a calcio, facevo anche altri sport, ma non avevo le idee chiare: con la boxe si accese una scintilla che divenne un fuoco duro da spegnere. Arde ancora. Dopo poche sedute di allenamento a Rimini andai sul ring. Si può dire che lo feci di nascosto. Mi trovai a Forlì per assistere a qualche match, quel 4 aprile di 48 anni fa. Gli organizzatori mi dissero che un pugile si era ritirato all’ultimo. Non resistetti, salii io su quel ring e vinsi».
Poi l’ascesa fu rapida. Debuttò a 17 anni.
«E a 21 divenni campione italiano dei pesi piuma: sconfissi Marco Gallo al palazzetto dello Sport di Rimini. Nel 1983, a Sassari, sconfissi Steve Sims al settimo round il titolo europeo. L’anno dopo nel 1984 sconfissi Leonardo Cruz a Milano. Categoria pesi supergallo. Avevo 24 anni. Di tempo ne è passato: le luci su quel titolo non si sono spente. Sono ancora il più giovane italiano campione del mondo di tutti i tempi».
La Romagna è terra di motori, soprattutto il Riminese. Ma con la boxe come se la cavano da quelle parti?
«La boxe a Rimini è stato sempre uno degli sport di primissima riga. C’erano Righetti, Pira, Ventura. Io iniziai nel 1977 e accadde quello che succede in questi casi. Il tuo allenatore vede in te qualità e agonismo, si aprono le sliding doors eccetera eccetera. Nel 1980 ho debuttato tra i professionisti, nel 1978 avevo portato mio fratello sul ring dopo che ci ero salito io, lo presentai io».
C’era rivalità?
«Un tempo sì, ora no. Sarà al Fulgor in platea. C’era rivalità perché a certi livelli fattori esterni spesso concorrono a generarla, ma non voglio parlarne: è passato troppo tempo».
E le rivalità verso chi l’ha sconfitta?
«Il più delle volte c’è grande rispetto. Ci sentiamo tutte le domeniche con Giuseppe La Vite, unico italiano a battermi da dilettante. Ma anche con Marco Gallo. E che dire di Victor Callejas: è venuto spesso a Rimini, presto andrò io a Puerto Rico».
Quale è il suo avversario più duro da sconfiggere?
«La rabbia».
E che cosa la fa arrabbiare?
«Tutto. Adesso, per dire, ce l’ho con i monopattini. I loro guidatori sfrecciano ovunque a velocità assurde, incuranti di costituire un pericolo. L’altro giorno una lite con un ragazzo che ne guidava uno stava per degenerare. Di questa mia grande rabbia parlavo molto con una suora del carcere di cui sono diventato amico. Mi ripeteva sempre che dovevo smetterla di fare la guerra con tutti, me lo ripete anche adesso. Sarò molto felice di rivederla in sala al cinema Fulgor alla presentazione del documentario».
Le luci dell’agonismo si spensero a Rimini. Era di sera, vicino all’Arco d’Augusto, in pieno inverno…
«La sera del 31 gennaio sulle strisce pedonali. Accadde sulla via Flaminia, vicino al centro di Rimini. Il ginocchio si ruppe in mille pezzi, la carriera fu improvvisamente troncata. Anzi, stroncata. Dalle stelle alle stalle, si dice in questi casi, che poi è la parabola in caduta libera che segue questo documentario. Il processo successivo all’incidente fu lunghissimo, la vicenda ebbe risonanza».
E dire che poche settimane prima aveva combattuto.
«Il 17 dicembre del 1988. Era il compleanno, il terzo, di mio figlio. Tornai a vincere dopo tempo. Nel 1984 persi a Puerto Rico e a Rimini contro Victor Callejas, il pugile con cui ogni tanto ci incontriamo, come dicevo, e che oggi è un amico. Contro di lui persi il titolo mondiale: fu una prima battuta d’arresto, che in quanto tale non fu una caduta».
Di quella sconfitta cosa ricorda?
«A Rimini, nella seconda gara, fu brutto. Vittima di un destino maledetto. Lui è un picchiatore, che non è un insulto ma un modo di combattere. Fatto sta che mi diede una fortissima gomitata: per come la vedo io, ma credo di essere oggettivo, lui doveva essere squalificato. Malgrado tutto, però, siamo in buoni rapporti».
L’incidente nel 1989, dicevamo, poi la carriera si arrestò.
«Quell’incidente. Allora bloccai l’autostrada A14. Minacciai di buttarmi da un cavalcavia a Misano, arrivarono i carabinieri e le forze dell’ordine e fermarono il traffico. È tutto scritto sulle cronache riminesi e non solo riminesi. Di cazzate ne ho fatte. Oggi mi rendo conto che un tempo criticavo chi voleva combattere a una certa età. Ora a quella età ci sono arrivato io ma mi rimangio tutto: voglio ancora combattere, la boxe è la mia vita».
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23 ottobre 2025 ( modifica il 23 ottobre 2025 | 10:44)
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