di
Laura Cuppini
I ricercatori del Massachusetts Institute of Technology e del Broad Institute hanno trovato un modo per riprogrammare temporaneamente le cellule del fegato, con l’obiettivo di migliorare la funzione delle cellule T
Con l’avanzare dell’età, il sistema immunitario subisce un declino. Le cellule T diminuiscono e non riescono a reagire rapidamente a virus e batteri, rendendo l’organismo più debole nei confronti delle infezioni. I ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (Mit) e del Broad Institute di Cambridge hanno trovato un modo per «riprogrammare» temporaneamente le cellule del fegato, con l’obiettivo di migliorare la funzione delle cellule T compensando l’invecchiamento del timo, una ghiandola collocata nel torace dove normalmente avviene la maturazione delle cellule T.
Sviluppo delle cellule T
I ricercatori hanno utilizzato l’mRna (Rna messaggero) per fornire tre fattori chiave che promuovono la sopravvivenza dei linfociti T nei topi: gli animali anziani che hanno ricevuto il trattamento hanno mostrato popolazioni di linfociti T più grandi e diversificate in risposta alla vaccinazione e hanno risposto meglio ai trattamenti di immunoterapia contro il cancro. «Riuscire a ripristinare qualcosa di essenziale come il sistema immunitario significa poter aiutare le persone a vivere più a lungo senza malattie» afferma Feng Zhang, professore di Neuroscienze al Mit, autore senior dello studio, pubblicato su Nature. Il timo, un piccolo organo situato davanti al cuore, svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo delle cellule T. Secerne anche citochine e fattori di crescita che aiutano queste cellule a sopravvivere. Tuttavia, a partire dalla prima età adulta, il timo inizia a ridursi. Questo processo, noto come involuzione timica, porta a un calo nella produzione di nuovi linfociti T. Intorno ai 75 anni di età il timo smette di funzionare.
Tre segnali immunitari
Il team del Mit ha provato a creare una «fabbrica» temporanea nel corpo, in grado di generare i segnali di stimolazione dei linfociti T che normalmente vengono prodotti dal timo. Hanno scelto il fegato per diversi motivi. In primo luogo, ha un’elevata capacità di produrre proteine anche in età avanzata. Inoltre, è più facile trasportare l’mRna al fegato rispetto ad altri organi. Infine tutto il sangue circolante nel corpo attraversa il fegato, comprese le cellule T. Per creare la «fabbrica», i ricercatori hanno identificato tre segnali immunitari (proteine) importanti per la maturazione delle cellule T, codificandoli in sequenze di mRna trasportate da nanoparticelle lipidiche. Quando vengono iniettate nel flusso sanguigno, queste particelle si accumulano nel fegato e l’mRna viene assorbito dagli epatociti (cellule del fegato), che iniziano a produrre le proteine codificate: DLL1, FLT-3 e IL-7. Queste ultime aiutano le cellule T progenitrici immature a maturare in cellule differenziate.
Risposta alla vaccinazione
I test sui topi hanno mostrato che il trattamento è efficace. I ricercatori hanno iniettato le particelle di mRna in topi di 18 mesi, equivalenti a esseri umani di circa 50 anni. Poiché l’mRna ha una vita breve, i ricercatori hanno somministrato ai topi più iniezioni nell’arco di quattro settimane, per mantenere una produzione costante da parte del fegato. Dopo il trattamento, le popolazioni di cellule T hanno mostrato un aumento significativo in termini di dimensioni e funzionalità. I ricercatori hanno quindi verificato se il trattamento potesse migliorare la risposta degli animali alla vaccinazione. Hanno immunizzato i topi con ovalbumina, una proteina presente nell’albume d’uovo comunemente utilizzata per studiare la risposta del sistema immunitario a un antigene specifico. Nei topi di 18 mesi che avevano ricevuto il trattamento con mRna prima della vaccinazione, la popolazione di cellule T specifiche per l’ovalbumina era raddoppiata rispetto ai topi della stessa età che non avevano ricevuto il trattamento.
Immunoterapia contro il cancro
L’iniezione di mRna può anche potenziare la risposta del sistema immunitario all’immunoterapia contro il cancro. Gli autori dello studio hanno somministrato il trattamento a topi di 18 mesi, ai quali sono stati poi impiantati dei tumori e somministrati i cosiddetti farmaci inibitori dei checkpoint immunitari, che agiscono sulla proteina PD-L1 per «sbloccare» il sistema immunitario e stimolare i linfociti T ad attaccare le cellule tumorali. I topi sottoposti al trattamento hanno mostrato tassi di sopravvivenza più elevati e una durata di vita più lunga rispetto a quelli trattati con il farmaco inibitore del checkpoint ma senza iniezione di mRna.
20 dicembre 2025
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