di
Chiara Daina
Gli ormoni della tiroide influenzano l’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi, un complesso sistema di interazione tra tre ghiandole che controlla il rilascio delle gonadotropine, due ormoni cruciali per la funzione riproduttiva
Revisione scientifica a cura di Valeria Savasi, professoressa di Ginecologia e ostetricia all’Università di Milano e direttrice dell’Unità operativa complessa di Ostetricia e ginecologia dell’Ospedale dei bambini «Vittore Buzzi» di Milano
Gli ormoni prodotti dalla tiroide, in particolare triiodotironina o T3 e tiroxina o T4, oltre a essere fondamentali per diverse funzioni vitali dell’organismo, tra cui il metabolismo, il sistema cardiovascolare, il mantenimento della temperatura interna e il tono dell’umore, influiscono sulla regolazione del ciclo mestruale e sulla fertilità (anche quella maschile). Ma questo le donne spesso lo ignorano o, comunque, non sempre ne tengono conto quando hanno problemi a rimanere incinta o presentano mestruazioni irregolari. La ghiandola tiroidea, situata nella parte bassa e anteriore del collo, è strettamente connessa all’ovulazione e alla capacità riproduttiva: gli ormoni della tiroide influenzano il cosiddetto asse ipotalamo-ipofisi-gonadi, un complesso sistema di interazione tra tre ghiandole che controlla il rilascio delle gonadotropine (Fsh e Lh), due ormoni cruciali per la funzione riproduttiva, poiché stimolano la secrezione degli ormoni sessuali e favoriscono l’ovulazione. Quando la tiroide sintetizza una quantità di ormoni inadeguata possono verificarsi due condizioni patologiche: l’ipotiroidismo, caratterizzato da una ridotta produzione ormonale, e l’ipertiroidismo, in cui al contrario vi è un eccessivo aumento dei livelli di T3 e T4 dovuto a un’iperattività della ghiandola tiroidea. Entrambe le condizioni possono manifestarsi anche in forma «subclinica», quando c’è un incremento dei livelli di Tsh (l’ormone prodotto dall’ipofisi che stimola il rilascio di T3 e T4 nella tiroide), che però non è in grado di alterare gli ormoni tiroidei circolanti nel sangue. Per diagnosticare il tipo di disfunzione tiroidea è possibile rivolgersi al ginecologo che, in base alle analisi di laboratorio (Tsh, FT3 e FT4) e in sinergia con lo specialista endocrinologo, valuterà il trattamento più adeguato per prevenire complicanze a lungo termine, soprattutto per la salute riproduttiva. Le disfunzioni tiroidee colpiscono principalmente il sesso femminile: secondo l’American thyroid association, circa una donna su otto nel corso della vita ne svilupperà una, con un rischio da cinque a otto volte superiore rispetto agli uomini. La frequenza delle patologie tiroidee aumenta con l’avanzare dell’età, in genere dopo i 40 anni.
Ipotiroidismo e fertilità
Questo disturbo si manifesta con sintomi quali stanchezza, aumento di peso (a causa di un rallentamento del metabolismo corporeo), sensibilità al freddo, secchezza cutanea, stitichezza, rallentamento dei riflessi e, nelle donne, anche nella forma subclinica, può interferire con la durata e la regolarità del ciclo mestruale, causando flussi più lunghi o più brevi, e talvolta portando persino all’amenorrea, cioè all’assenza delle mestruazioni, o a cicli anovulatori, ossia senza ovulazione (il momento in cui avviene il rilascio dell’ovulo fecondabile da parte dell’ovaio). La fertilità della donna rischia pertanto di essere compromessa. La causa più comune di ipotiroidismo è la tiroidite di Hashimoto, una patologia autoimmune che induce la produzione di autoanticorpi contro le cellule della ghiandola tiroidea.
Ipertiroidismo e fertilità
Valori elevati di T3 e T4 provocano frequentemente: tachicardia, improvviso dimagrimento (per via di un’accelerazione del metabolismo), tremori a tutto il corpo (per la sensazione maggiore di freddo perché si altera la termoregolazione), stati di nervosismo e irritabilità, disturbi del sonno, intolleranza al calore, oligomenorrea (ossia perdite mestruali poco abbondanti che compaiono a intervalli piuttosto lunghi, superiori ai 35 giorni ma inferiori ai tre mesi) e amenorrea. A scatenare questa condizione possono essere: la sindrome di Basedow-Graves, di tipo autoimmune (gli autoanticorpi stimolano una sovrapproduzione di ormoni tiroidei), noduli tiroidei iperfunzionanti, infiammazioni alla tiroide, assunzione eccessiva di integratori di iodio. In alcuni casi, l’ipertiroidismo può essere la spia di un tumore tiroideo.
Patologia tiroidea e gravidanza
La gravidanza comporta un fisiologico incremento del fabbisogno di ormoni tiroidei, soprattutto durante il primo trimestre. Sia per effetto dell’aumento di Hcg (o gonadotropina corionica umana, l’ormone prodotto dalla placenta) nel circolo sanguigno, che simula l’azione del recettore del Tsh (la proteina presente sulla superficie della cellula tiroidea che lega l’ormone Tsh) stimolando la produzione di ormoni tiroidei. Sia per la richiesta di T3 e T4 da parte del feto, che nelle prime settimane di gestazione non è ancora in grado di produrre i propri ormoni tiroidei e dipende da quelli materni. I malfunzionamenti della tiroide, preesistenti alla gravidanza o di nuova insorgenza, possono complicare il normale decorso della gravidanza se non sono compensati con i farmaci. L’ipotiroidismo associato alla gravidanza ha una prevalenza che varia dallo 0,3-0,5 per cento della forma clinica (con sintomi evidenti) al 2-3 per cento della forma subclinica. Se il disturbo non viene controllato è associato a una maggiore incidenza di aborti spontanei, distacco placentare, basso peso alla nascita e deficit cognitivi nel nascituro per insufficiente apporto di ormoni tiroidei nelle fasi precoci dello sviluppo neurologico fetale. È indispensabile, quindi, che la gestante assuma la terapia ormonale sostitutiva, sicura e indicata anche in gravidanza, fino a normalizzare i valori di Tsh. L’ipertiroidismo in gravidanza, secondo gli studi, riguarda in forma clinica lo 0,2-0,7 delle gestanti e in forma subclinica lo 0,8-1,7 per cento. Se non trattato, può provocare complicanze sia per la madre, tra cui parto pretermine, ipertensione gestazionale, preeclampsia, scompenso cardiaco e distacco di placenta, sia per il bambino, quali ipertiroidismo, malformazioni congenite, ritardo di crescita, fino alla morte in utero. Nei casi più gravi, se la mamma ha la malattia di Graves, è possibile il passaggio al feto attraverso la placenta degli autoanticorpi materni che sovrastimolano la produzione di ormoni tiroidei, con il rischio di danni neurologici al bambino. Questa è una delle cause più comuni di tireotossicosi fetale e neonatale, la condizione in cui nel sangue del bambino c’è un eccesso di ormoni tiroidei. La gestante con ipertiroidismo deve sottoporsi a un trattamento con farmaci antitiroidei, accompagnato da un attento monitoraggio ormonale della sua funzione tiroidea e di quella del feto.
Gli esami in gravidanza
Il dosaggio dell’ormone Tsh in gravidanza, per valutare la funzionalità della tiroide della madre, può essere prescritto in esenzione dal ticket in caso di gravidanza a rischio o se la gestante ha già una patologia tiroidea (e quindi usufruisce già dell’esenzione per malattia). In Lombardia lo screening del Tsh è stato incluso, in via sperimentale dal primo gennaio 2025 fino al 31 dicembre 2026, nel pacchetto di esami gratuiti previsti nel primo trimestre per tutte le donne in gravidanza. A tutte le donne che presentano fattori di rischio per le patologie tiroidee (anamnesi personale o familiare di disturbi che interessano la tiroide, infertilità inspiegata, aborti ricorrenti, segni clinici di disfunzione tiroidea) si raccomanda di eseguire un controllo della funzionalità tiroidea (esame del sangue per il dosaggio di Tsh, FT3 e FT4 più ecografia alla tiroide), se non già fatto precedentemente, prima del concepimento naturale o dell’inizio di tecniche di procreazione medicalmente assistita. Una corretta diagnosi e gestione delle disfunzioni tiroidee, anche subcliniche, possono infatti migliorare significativamente le probabilità di restare incinta e garantire il buon esito della gravidanza.
Tiroide e fertilità maschile
Anche negli uomini le alterazioni della funzione tiroidea possono danneggiare la fertilità, peggiorando la qualità del liquido seminale. Gli spermatozoi potrebbero avere una motilità più bassa, tale da rendere più difficile il raggiungimento dell’ovocita e la fecondazione, e un Dna più frammentato, che può impedire il concepimento. In caso di fattori di rischio, è bene consultare uno specialista endocrinologo ed eventualmente eseguire uno spermiogramma per analizzare la qualità del liquido seminale. Se necessario, il paziente verrà inviato allo specialista andrologo per una valutazione dello stato di salute dell’apparato riproduttivo e sottoporsi, in caso, a esami diagnostici mirati.
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7 agosto 2025
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