di
Paolo Valentino

L’ex ministro degli Esteri tedesco: «Siamo soli perché non siamo una potenza. Il leader russo vuole molto più del Donbass»

L’ex ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer ha definito il vertice di Anchorage «la dimostrazione dei nuovi rapporti di potenza globali nel XXI secolo, dove anche il presidente degli Stati Uniti accetta che l’impero russo è tornato». 

A Washington però abbiamo visto un’altra immagine: quella di Trump che discute con Zelensky e gli europei sulle garanzie di sicurezza per l’Ucraina. Il secondo summit non migliora o cambia la percezione del primo? 
«Non direi. Ad Anchorage ci sono state tra Stati Uniti e Russia delle intese, che non sono state messe in discussione a Washington. Trump e Putin hanno delineato un “deal” sull’Ucraina senza l’Europa e senza l’Ucraina, del cui futuro sono molto preoccupato». 



















































Ma non c’è dubbio che alla Casa Bianca ci sia stata una lunga consultazione sulle garanzie di sicurezza e che Trump abbia dichiarato di essere pronto a coordinarle, sostenendo gli europei. 
«Ricordo solo che nel 1994 anche la Russia aveva firmato il protocollo di Budapest che dava all’Ucraina garanzie di sicurezza in apparenza blindate, ma già in Crimea nel 2014 abbiamo visto quale valore avessero per Mosca: zero. Cosa significano praticamente? E l’Europa da sola è in condizione di offrirle e assicurarle? E come verrebbe applicata in concreto una clausola di difesa collettiva simile all’articolo 5 del Trattato Nato, che viene evocata, in assenza di un comando unificato, di procedure collaudate e in assenza soprattutto di una partecipazione americana in prima battuta? Purtroppo, resto molto scettico». 

Eppure, gli europei c’erano, per una volta insieme e uniti, e hanno sostenuto Zelensky. Questa cosa non fa una grossa differenza? 
«Non voglio essere frainteso: gli europei hanno fatto benissimo ad andare a Washington, ma torno alla domanda iniziale se questo abbia cambiato il risultato di Anchorage e la mia risposta è no. Solo vedere insieme Trump e Putin prodursi in quel minuetto, dà la misura della svolta epocale in corso». 

Ma l’Europa ha un’altra scelta oltre quella di esserci in questa partita esistenziale per l’Ucraina? 
«No. Deve esserci senza se e senza ma. Ma penso al mito di Sisifo nella lettura di Albert Camus: lo sforzo europeo è assolutamente necessario, anche se in queste condizioni inutile. La guerra continua e ora Putin sa che può contare su Trump, dal quale ad Anchorage ha avuto tutto quello che voleva tranne la levata delle sanzioni, senza concedere nulla in cambio». 

Perché definisce «in queste condizioni inutile» lo sforzo europeo? «Perché l’Europa non è potenza. E deve iniziare da subito, in modo energico e deciso, il processo per arrivare a esserlo. Non è più solo una discussione teorica. Se guardiamo a questo nuovo mondo, dominato da grandi potenze globali rivali fra di loro, l’Europa non ha alternativa se vuole ancora avere un ruolo facendo valere i suoi interessi e i suoi valori. Dobbiamo farlo prima che Trump getti l’Europa sotto un autobus. E questo non significa solo riarmarsi sul piano convenzionale. Ma anche affrontare tutte le sfide legate a uno status di potenza globale: spazio, digitale, servizi di intelligence. Il messaggio che viene da Anchorage è chiaro: siamo soli».

Lei dice che a Trump la categoria storico-politica «Occidente» dice poco o nulla? Perché? E perché quando è con Putin sembra perdere la sua carica di maschio alfa?

«Trump è attratto dagli autocrati, dagli uomini forti. I vincoli democratici che limitano il potere dei leader occidentali, quindi anche i suoi almeno in teoria, lo infastidiscono, non li capisce. Ha un misto di ammirazione e invidia per personalità come Putin e Xi Jinping. Il problema che io vedo è che così facendo Trump agisce contro gli interessi dell’America. Perché lo faccia non lo so, ma in fondo è una domanda che può essere risolta solo dalla politica interna degli Stati Uniti. L’Europa deve pensare a sé stessa». 

A proposito di Xi Jinping, ha un fondamento la tesi che Trump blandisca Putin per scioglierlo dall’abbraccio con la Cina, la sua vera rivale? 
«È una tesi ingenua e oserei dire anche stupida. Putin non si sgancerà mai dalla Cina. Perché dovrebbe farlo? Pechino ha garantito la sopravvivenza dell’economia russa con i suoi acquisti di materie prime e di tutto quello che Mosca poteva venderle, oltre ad assicurare a Putin agibilità internazionale. Ripeto, credo che il comportamento di Trump sia piuttosto motivato dalla sua adorazione per gli uomini autoritari». 

Torniamo all’Ucraina, Zelensky verrà costretto a cedere territori? 
«Se continua così sarà inevitabile. Però io penso che la questione territoriale non sia veramente essenziale per Putin, che vuole la Russia di nuovo potenza mondiale. Senza l’Ucraina, tutta l’Ucraina in quanto parte del “Russkij Mir”, questo non è possibile, la Russia non sarebbe imperiale. Quindi la questione non sarà risolta solo con l’eventuale cessione del Donbass, Putin vuole molto di più».

20 agosto 2025 ( modifica il 20 agosto 2025 | 13:48)