di Camilla Sernagiotto
«La sola convinzione che un alimento sia dannoso può indurre o amplificare i sintomi, anche in assenza di intolleranza», spiega l’esperta
Negli ultimi anni il glutine è uno dei principali sospettati di disturbi intestinali, anche tra i non celiaci. Molti pazienti con colon irritabile (IBS) lo eliminano per ridurre dolore, gonfiore o alterazioni dell’alvo. Spesso, però, questi sintomi dipendono dall’effetto nocebo: compaiono perché si teme che l’alimento faccia male. «L’effetto nocebo è una risposta psicosomatica: la sola convinzione che un alimento sia dannoso può indurre o amplificare i sintomi, anche in assenza di reale intolleranza», spiega Emanuela Ribichini, gastroenterologa nutrizionista e ricercatrice del Policlinico Umberto I di Roma. «Per distinguere tra reazione fisiologica e condizionamento psicologico serve una diagnosi differenziale accurata, che escluda condizioni organiche e intolleranze documentate, come celiachia o intolleranza al lattosio tramite test validati». Per i FODMAP (Fermentable Oligosaccharides, Disaccharides, Monosaccharides and Polyols) il protocollo prevede esclusione temporanea, diario alimentare e reintroduzione graduale per singola categoria di carboidrati fermentabili.
Colon irritabile: sintomi reali, cause elusive
Il colon irritabile interessa circa il 10% della popolazione. Gli esami mostrano raramente anomalie, ma i sintomi (dolore, gonfiore, alterazioni dell’alvo) impattano sulla qualità di vita. Molti ricorrono a diete di esclusione, soprattutto contro il glutine, bersaglio di mode, stigma e disinformazione.
«In assenza di celiachia o sensibilità non celiaca, i sintomi spesso migliorano senza eliminare del tutto il glutine», precisa Ribichini, che suggerisce alcune strategie pratiche: «Fare spuntini piccoli e frequenti, evitare eccessi di grassi e zuccheri, masticare lentamente e non saltare i pasti». Inoltre, combinare cereali a bassa fermentazione (quinoa, miglio, grano saraceno, amaranto) con proteine magre e verdure tollerate riduce la fermentazione senza impoverire la dieta.
Non solo glutine: gli alimenti che scatenano sintomi percepiti
Molti pazienti IBS «riferiscono disturbi dopo cibi ricchi di FODMAPs: fruttosio (mele, pere, miele), lattosio (latte e derivati), fruttani (grano, cipolla, aglio), galatto-oligosaccaridi (legumi), polioli (sorbitolo, mannitolo) – spiega Ribichini -. Questi composti fermentano nell’intestino, richiamano acqua e causano gonfiore, dolore e diarrea. Anche cibi grassi, fritti, elaborati, bevande gassate, caffè e alcol possono peggiorare i sintomi».
Lo studio canadese sul glutine
Un trial della McMaster University (Ontario), pubblicato su Lancet Gastroenterology & Hepatology, ha valutato pazienti IBS convinti di trarre beneficio dall’eliminazione del glutine. Dopo tre settimane di dieta senza glutine, i partecipanti hanno assunto barrette identiche, con o senza glutine, in tre cicli di sette giorni separati da pause. I sintomi, valutati su scala internazionale, non hanno mostrato differenze significative: l’effetto nocebo era evidente. Un terzo dei partecipanti ha seguito le istruzioni, gli altri hanno evitato barrette per paura del glutine. I sintomi riflettevano più le aspettative che la reale composizione. Dopo sei mesi, molti non hanno reintrodotto il glutine, a conferma di timori e pregiudizi radicati.
Psicologia e gestione dell’alimentazione
Gli autori segnalano il rischio di disturbi alimentari (ortoressia, anoressia) in chi elimina cibi senza motivo: può accadere in un caso su tre: «Ridurre o eliminare glutine, lattosio e legumi senza guida può portare a carenze di fibre, ferro, vitamine B e calcio. Per prevenirle vanno scelti alimenti naturalmente senza glutine e nutrienti, come quinoa, grano saraceno, riso integrale e legumi decorticati se tollerati. L’associazione con frutta e verdura a basso contenuto di FODMAP sostiene microbiota ed equilibrio nutrizionale», consiglia Ribichini. In ambito clinico e psicologico controllato, l’esclusione temporanea di alimenti può essere utile, se accompagnata da dieta equilibrata. Non esistono regole universali: ogni approccio va personalizzato. Interventi psicologici si sono dimostrati efficaci: a Harvard cinque sedute di terapia cognitivo-comportamentale hanno ridotto i sintomi di 25 pazienti; a Calgary meditazione e yoga hanno giovato a circa settanta partecipanti. Il glutine resta temuto, ma non ha ruolo dimostrato nell’aggravare i sintomi IBS.
Come identificare gli alimenti che peggiorano davvero i sintomi
Escluse celiachia, intolleranze e allergie, «si può applicare il protocollo eliminazione-reintroduzione, come la dieta Low FODMAPs, riconosciuta dalle linee guida internazionali», spiega la gastroenterologa. «Tre fasi: riduzione dei FODMAPs (3-6 settimane), reintroduzione graduale per singola categoria (fruttosio, lattosio, fruttani, GOS, polioli), identificazione dei veri responsabili. Così si evitano esclusioni arbitrarie e si ottiene una dieta personalizzata e sostenibile». Fondamentale, in questo caso, è il ruolo del nutrizionista, che garantisce equilibrio, interpreta le risposte cliniche e aiuta a distinguere sintomi reali da convinzioni legate all’effetto nocebo.
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15 ottobre 2025
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