di
Anna Fregonara

Una dieta mediterranea adattata ai bisogno dei pazienti renali: come una corretta modulazione di sale e proteine può aumentare l’efficacia delle terapie farmacologiche

Ogni giorno i reni eliminano scorie, tossine e liquidi in eccesso, regolano l’equilibrio di minerali come sodio e potassio e contribuiscono a controllare pressione arteriosa, produzione di globuli rossi e salute delle ossa.

Un aiuto concreto 

Per aiutarli, a maggior ragione quando iniziano a perdere di efficienza, un alleato prezioso arriva dallo stile di vita, a cominciare da quello che mangiamo. Studi e dati clinici mostrano, infatti, come nell’approccio alla malattia renale cronica la terapia dietetico-nutrizionale sia un’importante componente della cura, da prescrivere, adattare e monitorare come si fa con qualsiasi trattamento farmacologico. 



















































È quanto è emerso dal simposio «Nuove prospettive sulla terapia dietetico-nutrizionale», organizzato nell’ambito dell’ultimo congresso nazionale della Società Italiana di Nefrologia.
«Il primo passo è sempre uno stile di vita sano, ispirato ai modelli della dieta mediterranea o della Dash (Dietary Approaches to Stop Hypertension), un regime alimentare nato per contrastare l’ipertensione e che rappresenta il modello americano di una dieta sana», spiega Adamasco Cupisti, professore ordinario di Nefrologia all’Università di Pisa. «Da qui nasce il concetto di MedRen Diet, una dieta mediterranea adattata ai bisogni del paziente renale. Quando però la funzione renale comincia a ridursi drasticamente si interviene in modo personalizzato con le “diete renali”, abbassando l’apporto di proteine, sodio e fosforo, anche all’interno di un’alimentazione a base prevalente vegetale, ma senza ridurre le calorie, in modo da non compromettere l’equilibrio nutrizionale». 

Aumento dell’efficacia delle terapie

«Dieta e farmaci condividono meccanismi di nefroprotezione volti a rallentare la progressione della malattia renale cronica e ad allontanare il ricorso alla dialisi. Entrambi modulano l’emodinamica glomerulare, cioè regolano la pressione e il flusso di sangue nei reni contribuendo a ridurre il sovraccarico dei loro filtri naturali, aiutano a ridurre l’iperfiltrazione e la proteinuria, ovvero la perdita di proteine nelle urine, due segnali tipici del peggioramento del danno renale. Una corretta modulazione nutrizionale, in particolare di sale e proteine, può aumentare l’efficacia delle principali terapie farmacologiche in corso di malattia renale come i nuovi arrivati Sglt2i, farmaci nati per il diabete e oggi fondamentali anche nella protezione renale. Come ogni farmaco, però, anche la dieta ha possibili effetti collaterali: dal rischio di perdita di massa muscolare se l’apporto di proteine è mal gestito, fino a quello di depressione psicologica e isolamento sociale quando il piano alimentare viene percepito come troppo restrittivo. Ecco perché è fondamentale che la terapia nutrizionale venga gestita come se fosse un farmaco e da un’équipe che comprenda nefrologi e dietisti». 

Adattarsi ai pazienti 

Ogni intervento nutrizionale va adattato al paziente in base all’età, al quadro clinico, alle comorbidità, al contesto socioculturale e alle abitudini alimentari.
«La terapia dietetica deve raggiungere e mantenere un buon compenso metabolico ed è questo che guida l’intervento nutrizionale», conclude Claudia D’Alessandro, dietista nutrizionista e biologa all’Università di Pisa. «All’interno di questo percorso, i prodotti aproteici, rimborsabili in modo diverso da regione a regione, possono rappresentare in alcuni casi uno strumento “di precisione” per fornire energia “pulita” senza sovraccaricare i reni con prodotti di scarto e per costruire piani alimentari bilanciati sostenibili nel tempo».

Il tema proteine  

Con l’avanzare dell’età si raccomanda un aumento moderato dell’apporto proteico, contro la perdita di massa muscolare e malnutrizione. «Gli anziani con malattia renale cronica che dovrebbero seguire una dieta a basso contenuto proteico necessitano di una valutazione più attenta: può essere sicura anche in questa fase della vita se ben bilanciata e “cucita” sulle specifiche esigenze, adattata al grado di fragilità, al contesto sociale, alla capacità di seguire le indicazioni», dice Simone Vettoretti, ricercatore in Nefrologia all’Università degli studi di Milano Bicocca. «Occorre preservare l’apporto calorico e le giuste proporzioni di aminoacidi perché se manca uno solo di essi, la sintesi proteica si blocca. Personalizzare significa anche lasciare giorni liberi dalla dieta e rivalutare il piano nel tempo. Un lutto, una depressione, un peggioramento clinico possono modificare l’appetito e l’apporto nutrizionale e bisogna aggiornare le indicazioni».

13 dicembre 2025