«Quando apriamo i barattoli li esponiamo ad altre tipologie di contaminazione, soprattutto col passare del tempo», spiega Fabrizio Anniballi, responsabile del Centro nazionale di riferimento per il botulismo
«Il botulismo non si analizza con il numero di morti, ma con quello degli incidenti. Più che quante persone siano decedute, conta se abbiano mangiato dalla stessa conserva di cibo». A parlare è Fabrizio Anniballi, responsabile del Centro nazionale di riferimento per il botulismo all’Istituto Superiore di Sanità. E lo fa per tranquillizzare i tanti che, in seguito ai tre morti tra Calabria e Sardegna, temono l’avvelenamento da botulino. Ma «in Italia non c’è assolutamente un’emergenza, però diffidare dalle cosiddette “conserve della nonna” é sempre un bene», precisa.
Fabrizio Anniballi, cos’è il botulismo alimentare?
«Si tratta di una malattia neuro-paralitica causata dalla contrazione di tossine botuliniche, che solitamente si trovano sotto forma di spora, in molteplici ambienti come il suolo, i sedimenti marini e, soprattutto, gli alimenti».
In quali cibi si potrebbe formare e perché?
«In tutte le conserve alimentari e gli scatolami. Sono questi i casi in cui le tossine trovano condizioni favorevoli per lo sviluppo: assenza di ossigeno, basso tasso di acidità e scarsa presenza di zucchero o sale».
Ci sono alimenti particolarmente «indiziati»?
«I funghi sott’olio, perché sono complicati da lavare, quindi non sempre vengono igienizzati a pieno. Ma anche le cime di rapa: il loro ph prossimo alla neutralità é una minaccia».
Quindi, al supermercato, dobbiamo stare alla larga dalla corsia degli scatolami?
«Assolutamente no. Ma il mio consiglio è quello di non abbassare mai la guardia. Per quanto sia difficile capire se un cibo sia stato “contaminato”, esistono alcuni indizi».
Quali?
«Prima di aprire un barattolo bisogna stare attenti. Una buona norma è quella di controllare sempre il sottovuoto con la prova del “clic clac” indicata sui prodotti in commercio. Poi, se è di vetro, si può persino controllare il colore dell’alimento: se alterato non va solitamente mangiato. Un’altra spia si deve accendere quando, aprendolo, schizza: in quel caso vuol dire che all’interno è presente del gas. E, mi raccomando, non è consentita nemmeno la prova assaggio».
Perché?
«Anche quella può essere fatale o, in ogni caso, pericolosa. Buttare una conserva “sospetta” può salvarci la vita».
E nel caso dei barattoli aperti, consumati parzialmente e poi riposti in dispensa?
«Aver “provato” che in una conserva non ci sia botulino, non significa che dopo non si possa formare. Quando l’apriamo la esponiamo ad altre tipologie di contaminazione, soprattutto con il passare del tempo. Per questo va messa in frigorifero e consumata entro pochissimi giorni: al massimo 4 o 5».
E per le conserve fatte in casa? Le verdure sott’olio preparate dalle nonne o dalle zie sono ancora comunissime sulle nostre tavole?
«Quelle sono una vera minaccia, perché il tasso di sicurezza cala esponenzialmente. Il primo dato che rema contro è il barattolo: non basta “sterilizzarlo”, perché poi viene esposto in un ambiente o riempito di cibo non sanificato al pari. Un altro problema sono le quantità e le nuove tendenze».
Cioè?
«È essenziale che per un tot di litri di acqua o di chili di verdure, per esempio, ci sia il giusto dosaggio di sale o zucchero. E la necessità non passa solo per il sapore, ma anche per la salute, perché quel condimento serve anche a contrastare la proliferazione di tossine. Quindi fare conserve light, perché magari le si considera più salutari, può essere in realtà dannoso».
9 agosto 2025 ( modifica il 9 agosto 2025 | 19:43)
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