di Paola Pollo

«Siamo diventati la prima specie che considera il comfort una condizione biologica», dice il neuroendocrinologo Ascanio Polimeni. Ma il corpo è fatto per fluttuare, non per restare piatto come un termometro stabile: troppo stress continuo diventa dannoso, ma dosato e bilanciato migliora la capacità del corpo di ripararsi. Non serve soffrire: una guida pratica

Per anni abbiamo detto «sono stressato» come si dice «ho fame» o «fa freddo»: un’ovvietà quotidiana. Abbiamo trasformato lo stress in un simbolo della modernità, un nemico onnipresente a cui attribuiamo tutto ciò che non funziona. Eppure, dietro questo riflesso culturale, la biologia ha continuato a raccontare una storia diversa, più raffinata, quasi controintuitiva: non tutto lo stress fa male. 

Alcuni tipi di stress, se dosati, sono addirittura fondamentali per vivere meglio e più a lungo. È il principio dell’ormesi (dal greco hormesis, eccitare o stimolare), una curva dose-risposta a U rovesciata che descrive magistralmente come un piccolo stimolo possa generare una grande capacità di adattamento. Si tratta di una tecnica relativamente nuova nello studio della longevità, che viene ora applicata in medicina preventiva e lifestyle medicine per migliorare la resilienza cellulare e la qualità della vita.



















































A guidarci in questa interpretazione c’è il neuroendocrinologo Ascanio Polimeni, direttore di LongevYa Project e del Regen4Life Research Group, che da tempo studia come il corpo reagisca ai micro-stimoli. «La biologia non ama gli estremi, ama le oscillazioni», dice con una semplicità che non nasconde l’eleganza del concetto. Siamo progettati per rispondere, per contrarci e rilassarci, per scaldarci e raffreddarci, per passare da abbondanza a carenza. Ma la nostra epoca ha rimosso ogni oscillazione, costruendo un habitat piatto, impeccabile e — paradossalmente — poco fisiologico. La mancanza di variazioni quotidiane, da quelle termiche a quelle nutrizionali, impoverisce la nostra resilienza interna, rendendo il corpo più fragile di fronte a sfide anche minime. E non è un caso che gli ultracentenari, osservati in diverse popolazioni longeve, siano spesso persone sottoposte a pochi stress continui o a stress solo parziali: il loro organismo spegne l’incendio infiammatorio con una rapidità sorprendente, quasi automatica.

Il cuore dell’idea è semplice: piccoli stress educano la cellula. Stimolano i mitocondri, attivano proteine da choc termico come le HSP (Heat Shock Proteins, proteine che proteggono le cellule dai danni), modulano le vie metaboliche mTOR (che promuove crescita e accumulo energetico) e AMPK (che attiva meccanismi di risparmio energetico), risvegliano l’autofagia, il processo con cui il corpo elimina scarti e ripara le strutture interne. È un balletto biochimico che si attiva solo davanti a una sfida, mai nel comfort totale. E quando questo balletto manca, lo paghiamo in termini di infiammazione cronica, fragilità, perdita di massa muscolare e invecchiamento precoce.

Gli ultracentenari sono un esempio: il loro organismo spegne l’incendio infiammatorio con una rapidità quasi automatica

Gli ultra maratoneti, ad esempio, sperimentano spesso picchi di stress estremo: il corpo resiste se le esposizioni sono calibrate e integrate da recupero, ma crolla se l’intensità è continua e senza pause. Le loro performance estreme sono una dimostrazione vivente di come l’ormesi abbia dei limiti: troppo stress continuo diventa dannoso, ma dosato e bilanciato può migliorare la resilienza generale. Non a caso, osserva Polimeni, gli ultramaratoneti non mostrano un buon profilo di invecchiamento: con un carico costante eccessivo, la loro aspettativa di vita tende a sovrapporsi a quella degli obesi, segno che lo stress estremo e continuo è altrettanto deleterio dell’eccesso calorico e della sedentarietà.
Lo studioso insiste su un punto che sembra una provocazione, ma non lo è: viviamo prigionieri di un eccesso di protezioni. Temperatura costante, cibo continuo, sedentarietà elegante, routine infallibili. «Siamo diventati la prima specie che considera il comfort una condizione biologica», sorride. In realtà è una condizione culturale, che la fisiologia non ha mai riconosciuto come ideale. 

La normalità fisiologica, spiega, include oscillazioni quotidiane, settimanali e stagionali: il corpo è fatto per fluttuare, non per restare piatto come un termometro stabile. Questo concetto diventerà uno dei punti centrali nel libro che l’esperto pubblicherà in primavera per Sperling & Kupfer, una guida pratica e scientifica su come il micro-stress possa essere riutilizzato nella vita quotidiana per vivere meglio e più a lungo.

Il modello: i topi del deserto

E riconoscere cosa è stress è essenziale: hai mal di pancia? Sei stressato. Non dormi? Sei stressato. Hai mal di testa? Sei stressato. Non hai il ciclo? Sei stressata. Molti sintomi comuni altro non sono che segnali dell’asse stressogeno in sovraccarico.

Lo dimostrano, in modo sorprendente, i topi del deserto, animali che da anni vengono studiati dai fisiologi dell’adattamento. Vivono in ambienti ostili, con sbalzi termici enormi, disponibilità alimentare intermittente e necessità di movimento costante. Eppure, mantengono una sorprendente efficienza metabolica, una bassa infiammazione sistemica e una notevole longevità rispetto ad altre specie affini. Il segreto è proprio l’ormesi naturale: micro-stress continui, calibrati dall’ambiente, che mantengono attivi i sistemi di riparazione e difesa. È, in piccolo, la prova vivente che la vita non fiorisce nell’assenza di stimoli, ma nella loro modulazione.

Mal di pancia? Di testa? Sono segnali del sovraccarico sull’asse stressogeno: la soluzione, però, non è il comfort totale

Da questo principio lo studioso trae un sistema semplice e profondamente umano: reintrodurre nella vita quotidiana quegli stimoli che la nostra modernità ha cancellato. Il primo è la pausa dal cibo. Non digiuni estremi, ma pause. Ore in cui l’organismo non riceve energia e può dedicarsi alla manutenzione interna. In quell’intervallo si attiva AMPK, si riduce mTOR, si aprono le vie dell’autofagia. La cellula non si indebolisce: si resetta. È un meccanismo che conosciamo da millenni e che solo negli ultimi decenni abbiamo disimparato, trasformando la giornata in un flusso continuo di calorie. Anche piccoli salti calorici durante la giornata, come saltare lo snack pomeridiano o ridurre leggermente la colazione, possono agire come micro-stress benefici. Esempi concreti: fare colazione più tardi, saltare un pasto leggero, oppure inserire una camminata veloce prima dei pasti principali. Lo studioso aggiunge: «Non serve soffrire: basta dare al corpo l’opportunità di fare il suo lavoro». E ricorda che gli zuccheri in eccesso sovraccaricano il corpo di tossine metaboliche, rendendo molto più difficile spegnere l’incendio dell’infiammazione: più zuccheri, meno capacità di recupero.

Sforzo moderato, ma quotidiano

La stessa logica si applica al movimento. L’ossessione contemporanea per l’allenamento intenso ha oscurato la verità più semplice: il corpo risponde meglio alla regolarità che all’eroismo. Lo sforzo moderato ma quotidiano attiva l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene in modo armonico, senza travolgerlo. Camminate rapide, esercizi di resistenza leggera, movimenti regolari. È un dialogo tra il sistema muscolare e quello neuroendocrino, non una battaglia. Gli studi mostrano che anche l’allenamento intermittente, con periodi di sforzo alternati a recupero, stimola l’asse ormonale più efficacemente dell’attività massacrante continua. Mark Matson, ad esempio, ha studiato l’esposizione a stimoli ormetici nei ratti, dimostrando che stimoli intermittenti, come percorsi labirintici e movimento limitato, migliorano la resilienza e riducono lo sviluppo di patologie croniche rispetto ai gruppi a basso stimolo. Per questo l’esperto ricorda che «il movimento non modella solo il corpo, modella la resilienza dell’intero sistema». Persino brevi sessioni di yoga o esercizi di mobilità possono diventare micro-stress salutari, se inseriti regolarmente nella giornata.

Fare colazione più tardi o saltare un pranzo leggero, inserire una camminata veloce prima dei pasti principali

Un capitolo fondamentale riguarda le oscillazioni termiche, il più innocente degli stress e quello che abbiamo più radicalmente escluso. Siamo diventati termostatati, incapaci di tollerare una folata d’aria. Ma la biologia reagisce proprio agli stimoli termici: il freddo attiva le proteine da shock (HSP), il tessuto adiposo bruno (grasso bruno: tessuto che brucia energia per generare calore), una migliore vascolarizzazione; il caldo stimola la sudorazione, il ricambio elettrolitico, la flessibilità cardiovascolare. Di nuovo, non serve soffrire: basta convivere un po’ con la realtà. Anche brevi esposizioni al freddo o a saune leggere, alternando caldo e freddo, sembrano incrementare la capacità di recupero cellulare.
Lo stesso vale per le ormetine, quei composti presenti negli alimenti che esercitano piccoli micro-stress sulle cellule. I polifenoli delle bacche, i composti amari delle verdure, le sostanze solforate delle crucifere, le spezie piccanti: non sono pozioni miracolose ma allenatori cellulari. La pianta li produce per difendersi; noi, ingerendoli, attiviamo vie di difesa simili. Alcuni studi, come quelli citati da Leo Pruimboom, hanno mostrato che l’assunzione regolare di questi nutrienti stimola la risposta antiossidante e infiammatoria, aumentando la resilienza cellulare. Non a caso molte di queste molecole agiscono proprio sulle stesse proteine coinvolte nell’ormesi. L’assunzione regolare di queste sostanze sembra modulare la risposta infiammatoria e aumentare la capacità antiossidante, un piccolo “allenamento” chimico interno che supporta la longevità. Fra questi alimenti Polimeni indica in particolare ortaggi, broccoli, cavolfiori, cavoletti, curcuma, curry, uve rosse, tè verde, cioccolato fondente e olio d’oliva: veri “addomesticatori” dell’infiammazione, capaci di calmare il terreno biologico su cui si costruisce la longevità.

Una competenza da allenare

Ciò che colpisce più di tutto, nel lavoro dello studioso, non è la tecnica, ma la lettura culturale. L’idea che la salute non sia assenza di disturbo, ma capacità di risposta. Che la longevità non sia un premio da vincere, ma una competenza da allenare. Che la vecchiaia non sia il collasso di un sistema stanco, ma il risultato di una vita che ha saputo dialogare con le pressioni, non evitarle. È un invito a riscoprire i ritmi naturali, a reintrodurre piccole sfide nella routine quotidiana, a osservare la vita come un laboratorio di micro-adattamenti. Lo studioso sottolinea come questo approccio, presentato nel libro in uscita, possa essere accessibile a tutti: non servono grandi rivoluzioni, ma attenzione consapevole e piccoli cambiamenti quotidiani.

Broccoli, tè verde, cioccolato fondente, curry: calmano il terreno biologico su cui si costruisce la longevità

In fondo, la sua visione restituisce dignità a una verità antica: siamo nati per adattarci. E l’adattamento non si ottiene eliminando le difficoltà, ma calibrando le piccole oscillazioni — un po’ di fame, un po’ di freddo, un po’ di movimento, un po’ di sapori intensi, un po’ di variazioni — sono ciò che restituisce vigore ai nostri sistemi di protezione. L’adozione di questi principi non richiede rivoluzioni estreme, ma osservazione e micro-interventi quotidiani, e può cambiare radicalmente la qualità della vita negli anni. Polimeni distingue anche chiaramente i diversi tipi di stress: lo stress acuto, quello classico legato a una malattia o a un evento improvviso; lo stress psicologico, dovuto ai carichi mentali; e lo stress cronico, il vero nemico numero uno perché ingloba, amplifica e somma tutti gli stress. Ed è proprio nello spazio tra questi che nasce lo stress positivo, quello che educa invece di danneggiare.
«Lo stress buono è un insegnante», conclude Polimeni. «Non ti punisce: ti allena.» E in questa frase c’è forse la sintesi migliore della sua filosofia: la vita non si allunga evitando ogni pressione, ma imparando a usarla. Ogni oscillazione, ogni micro-stress, ogni sfida calibrata, diventa un mattone nella costruzione della resilienza e della salute a lungo termine, la strada meno appariscente ma più solida verso una vecchiaia attiva e vitale.

LE DUE TIPOLOGIE DI STRESS

Che cos’è
Tradizionalmente lo stress viene percepito come negativo, come una causa o concausa di malattie.
In realtà, è importante distinguere due tipi di stress: 
1) lo stress acuto, che è un evento puntuale (per esempio un’infezione, una puntura, un trauma) che attiva una risposta infiammatoria, seguita da una risposta antinfiammatoria che “spegne l’incendio”. Questo è un meccanismo adattativo fisiologico; 
2) lo stress cronico, che è prodotto da un accumulo di situazioni (psicologiche, metaboliche, ambientali…) che attivano in modo persistente una risposta pro-infiammatoria, senza che il sistema riesca a “resettarsi”. Spesso è dovuto a combinazioni di alimentazione scorretta, vita sedentaria,
esposizione ambientale, stress psicologico

20 dicembre 2025 ( modifica il 20 dicembre 2025 | 15:27)